Il lato destro della pagina
Stamattina mi sono svegliata con un leggero mal di testa. Ho fatto colazione e ho pensato di uscire, nella speranza di trovare giovamento da una passeggiata e da un po’ d’aria fresca. Ho preso lo scooter e sono andata verso il centro, alla ricerca dell’agenda per l’anno nuovo.
La scelta dell’agenda è per me un momento molto delicato, che richiede talvolta anche diversi tentativi tra le varie librerie. Non sono generalmente troppo esigente sulle cose di pratica utilità, ma sull’agenda scarico ogni forma di pretesa e rivendico il mio sacrosanto diritto alla selezione. Non mi basta un libretto qualunque: deve essere non troppo alta ma abbastanza grande per consentirmi di scrivere i pensieri accanto agli impegni, deve avere l’elastico con la penna incorporata e anche quello per tenerla chiusa nel fracasso della borsa, in ogni pagina deve avere il giorni della settimana sul lato sinistro mentre quello destro deve essere vuoto e invitante come un prato a primavera. Infine, ovunque venga poggiata, deve dar bella mostra di sé con un rivestimento rigorosamente colorato, in toni possibilmente brillanti.
Con tutti questi requisiti nella testa mi sono avviata verso i lungarni della città, carica di speranze e di un certo desiderio tattile che, non so perché, pregustava di toccare una copertina di color verde pastello.
Ero ormai vicina al ponte quando un nastro giallo e nero è comparso davanti ai miei occhi per avvisarmi che la strada era bloccata. Prima ancora di ricalcolare il tragitto come fanno i navigatori, ho seguito la direttiva del vigile che, a suo modo, parlava con la voce del fischietto mentre col braccio mi indicava il percorso da seguire. Con mille deviazioni, passando dai vicoli di una Firenze inedita ai motorini, sono arrivata al ponte vecchio e ho lasciato il mio scooter nell’ultimo posto utile prima di proseguire a piedi. Ho appreso lì che la città era attraversata dalla maratona e che la distanza tra me e la prima libreria sarebbe stata, più che una passeggiata, un percorso a ostacoli tra la folla.
Ho valutato di tornare indietro, ma ormai avevo parcheggiato e alla fine ho deciso di proseguire.
Così, io che amo la calma, anelo alla solitudine e sono convinta che per rilassarsi bisogna avere almeno lo spazio di un braccio tra noi e il prossimo sconosciuto, mi sono trovata nel vortice dell’esuberanza umana.
Dopo qualche minuto di palese insofferenza, la mia attenzione è stata attratta da qualcosa. Ho guardato quello che stava succedendo con un certo distacco, come se io non fossi stata parte del quadro. Vedevo un percorso tra i palazzi storici, all’interno del quale correvano persone di tutte le età, quasi tutte visibilmente stanche e provate dalla fatica. Ai lati, appoggiate alle transenne, altre persone battevano le mani e incoraggiavano gli atleti.
Il mio sguardo si è fermato su una donna che si sbracciava e urlava forte:
– Ce l’avete quasi fatta, forza! Resistete, non mollate proprio ora!
-Chissà perché ci tiene tanto – mi sono chiesta io – anzi, chissà perché ci tengono tutti!
Ho compreso in quell’istante, tra le voci e le spinte, che ero nel bel mezzo di un rito collettivo.
Ho avuto la sensazione che i contorni si sfumassero e io mi sono trovata, quasi lontana da me stessa, a vivere gli effetti di un moto di speranza che passava da individuo a individuo e che trovava nei podisti la sua gioia, oltre che il suo motivo d’essere.
Mi è parso d’un tratto che il senso di quel coinvolgimento fosse un inno alla perseveranza, il riconoscimento di una fatica che arrivava da lontano e che trovava ora l’appagamento pieno della volontà.
-Qui si celebra chi resiste – mi son detta – quelli che arrivano nonostante tutto. Sono sudati, stanchi, stremati, ma non lasciano la pista. Questa è la festa di chi non si arrende, il successo pulito di chi non ha mollato.
In quel momento mi è parsa bella ogni cosa: i corridori, le spinte, la signora che urlava dalla transenna.
Nel giro di un secondo, quando la distanza tra me e i miei vicini sconosciuti misurava assai meno di un braccio, ho pensato che il centro della mia città era diventato per un attimo il centro di ogni uomo.
E io ero lì, insieme agli altri, a guardare il colore.
