27. La verità sottile
Dopo che Ester uscì dalla stanza, Bianca ed Egle si scambiarono uno sguardo d’intesa.
L’anta della libreria era aperta e loro si trovarono, ancora una volta, a rovistare in spazi celati dal tempo, frugare in pertugi riposti al di là della scena nella speranza di individuare qualcosa che consentisse di ricostruire il passato.
Si infilarono i guanti di lattice e scorsero con gli occhi i volumi, finché di colpo si fermarono.
Bianca indicò una piccola figura sulla costola di un manoscritto.
– Il nodo di Salomone – disse piano – era nei mosaici della Basilica di Aquileia.
– Siamo vicine Bianca, lo sento.
Sullo scaffale, in corrispondenza del manoscritto, un’etichetta ne descriveva il contenuto:
Libro della Sapienza o Sapienza di Salomone
Lo estrassero e lo appoggiarono su un piccolo tavolo, vicino a un lume da lettura, poi sollevarono la copertina di pelle, consumata dall’usura e dal decorso dei secoli.
Nella prima pagina, l’immagine di un cerchio offrì le sue decorazioni, ancora vivide, alla luce della lampada.
Entrambe furono colte da inattesa emozione.
Quanti occhi avevano visto quel simbolo prima di loro, quali mani avevano scorso le carte, in che misura i pensieri si erano affastellati e poi distesi sotto il potere di quelle parole trascritte così finemente da rimanere impresse nello spirito? Sfogliarono qualche pagina con la massima delicatezza, decise a mettere in pratica le raccomandazioni di Ester: quei volumi appartenevano a tutti e andavano trattati col rispetto della Storia.
– Sembra che qui non ci sia nulla per noi – osservò Egle.
– Vorrai dire per te.
Egle abbozzò un sorriso.
– Sì, insomma…per me e per Franz. Tutto sembrava condurre a questo posto, forse ci siamo sbagliate.
Bianca rimase in silenzio, incapace di trovare una spiegazione.
– Aspetta un attimo – riprese Egle – potrebbe esserci qualcosa dietro. Aiutami a estrarre i libri.
Ricominciò la ricerca e tirò fuori dall’armadio diversi manoscritti. Prima uno, poi un altro, finché ottenne uno spazio utile a infilarci una mano. Li appoggiò sul tavolino mentre Bianca, con la torcia, illuminava la scena.
– Senti qualcosa?
– Non mi pare. Aspetta, forse sì, non saprei…è strano.
– In che senso è strano?
– Sembra che ci sia una sporgenza sul fondo ma non trovo il punto d’inizio. Potrebbe essere un’incurvatura del mobile.
– Fammi sentire.
Bianca mise, a sua volta, la mano nell’incavo, tra i manoscritti. Arrivata all’estremità, batté con le dita. Tante volte aveva maneggiato mobili antichi a bottega, quell’esperienza tornava adesso incredibilmente preziosa.
– È pieno – concluse.
– Che cosa significa?
– Significa che c’è qualcosa sotto, non è una flessione del legno.
– Una specie di doppio fondo?
– Direi di sì, cerco di capire.
Bianca toccò la parete, poi ebbe un’intuizione e spostò la mano sotto il ripiano superiore. Con la punta delle dita riconobbe il punto di congiunzione tra la mensola e il pannello, che apparve sottile e facile da estrarre.
Tolse qualche altro libro per fare spazio e poi premette sul bordo, finché il rivestimento si mosse.
– Ecco qua – disse tirandolo via.
Egle la guardò in silenzio, colta dalla sensazione di essere arrivata.
Mise di nuovo la mano nella libreria, sicura, questa volta, di trovare quello che cercava. Dopo qualche manovra levò una grande busta ingiallita, con gli angoli sbertucciati.
Bianca, davanti a lei, la guardava con l’espressione carica di attesa.
Sul bordo inferiore, era riportata la sigla di due iniziali
F, E
– Franz ed Egle, non c’è dubbio che i destinatari siamo noi.
Egle aprì ed estrasse il contenuto.
La prima cosa che videro fu un insieme di fogli legati dal punto di una spillatrice, su cui erano riportati degli appunti a penna. Schemi, frecce, paragrafi sottolineati e blocchi di contenuti erano sintetizzati davanti ai loro occhi, offrendo la percezione di una comunicazione affrettata.
In cima a tutto, una data:
21 Maggio 1998
– Che cosa sarà? – chiese Bianca stupita.
Ma Egle aveva l’aria assente, scossa da un contatto che l’aveva trasportata in uno stato parallelo. Quelle scritte, prima ancora di essere lette, l’avevano ricongiunta a quanto era successo, in un terreno inesplorato.
– I miei genitori sono morti due giorni dopo – fece in tempo a dire.
Poi lasciò il presente per entrare in un presente diverso, che le era stato negato.
Fu un passaggio dolce, diverso dalle altre volte. Si sentì pervadere da una fonte di calore, avvertì un nodo sciogliersi all’altezza del petto, come se quel nervo abituato ad accogliere dolore fosse per la prima volta attraversato dal bene.
Entrò, con gli occhi della mente, nella stessa stanza in cui si trovava adesso, in orari pressappoco uguali a quello, subito prima che i suoi venissero a mancare.
Vide sua madre, alla scrivania nel mezzo della sala, che scriveva senza sosta.
Aveva il viso preoccupato, il cruccio di non aver la scelta per decidere, la pena del presagio e del sentore.
Vicino, suo padre le teneva la mano sulla spalla.
– Succederà qualcosa, lo sento – diceva lei.
Le parole erano lontane, chiuse da un’eco rimasto attaccato alle pareti senza riuscire a sbrogliarsi, costretto per sempre a rimbalzare.
– Per una volta potresti sbagliare.
– Non questa. Vedo i bambini soli, mentre gli dicono che non ci siamo più. È un pensiero orribile, non lo riesco a sopportare.
Riprese a scrivere, come se quegli appunti potessero tenerla vicino ai figli ancora e ancora a lungo, inchiodare il tempo sul foglio e consentirle di rimanere lì, senza doversi staccare.
Lentamente l’immagine sfumò, ed Egle tornò vicino a Bianca.
Concretizzò, in quel momento, che la dote di vedere oltre le cose aveva origine nel sangue di sua madre. A lei somigliava quando entrava in contatto col fuoco della verità, da lei aveva ereditato la capacità di captare l’energia. Quella scoperta, arrivata come una rivelazione, portò in lei la pace del conforto. Le venne in mente il racconto di Suor Cristina, sull’ultima volta che sua madre aveva visto Ottavia. Doveva essere successo in quei giorni frenetici in cui sentiva la morte arrivare. Era andata per cercare un punto di contatto, probabilmente per dirle dei figli, nella speranza di poterglieli affidare. Invece litigarono e venne via senza risolvere la questione, turbata e priva di consolazione. In quel periodo sciagurato, il destino si era accanito su di loro, aveva cavalcato sui vuoti delle cose non dette e li aveva trascinati alla deriva. Se Ottavia avesse saputo della loro esistenza, forse non sarebbero rimasti soli. Se Franz avesse conosciuto la storia per intero, forse sarebbe stato ancora lì, ad abbracciarla come facevano da bambini, quando lei aveva paura del buio.
Egle pensava a tutte quelle cose quando incrociò gli occhi di Bianca, che la fissava per sapere.
– Mia madre sentiva che sarebbe successo qualcosa – comunicò – ha lasciato questi appunti per permettere a me e a Franz di capire.
Bianca comprese che Egle aveva avuto una visione e non fece domande.
Proseguì, invece, sulla strada delle deduzioni e prese quell’annuncio come un nuovo punto di partenza, la conferma di un’ipotesi che aleggiava da qualche ora nell’aria e che adesso diventava concreta.
– Allora la foto che aveva in tasca non era casuale – commentò.
– Esatto, era un’indicazione per noi.
– Non ci resta che guardare questi appunti, cercare di comprendere quello che vostra madre voleva spiegarvi.
Poi Bianca fece una pausa. Riprese dopo qualche secondo, col tono pieno di dolcezza.
– Egle, te lo chiedo ancora. Sei sicura che non vuoi rimanere da sola? È una cosa che riguarda la vostra famiglia; io posso aspettarti fuori, insieme ad Ester.
– Rimani – rispose l’amica.
– Va bene.
Presero i fogli e cominciarono a leggere.
Tutto appariva confuso e disordinato, come se quelle scritte fossero state buttate sul foglio alla rinfusa, private del tempo dell’organizzazione.
L’inizio, tuttavia, pareva fornire una chiave di lettura, forse il tentativo di affrontare la questione con calma, pima che la fretta prendesse il sopravvento.
Abbiamo i documenti che testimoniano la precisa volontà di Petrarca di nascondere, nel Canzoniere, un significato mistico e matematico.
Questa interpretazione, celata fin dall’inizio tra le righe dell’opera, è rimasta segreta per volontà del Poeta, e da allora tramandata attraverso gli eredi.
Una freccia portava alla scritta:
Il poema è un LABERINTO, un AEDIFICIUM, una segreta costruzione.
Dove si trova la realtà celata?
Un secondo vettore conduceva allo specchietto in un riquadro:
Non è il traguardo che svela la meta, bensì la forma della strada.
Da quel punto, partiva una fitta diramazione di concetti trascritti su più piani, come se ciascuno fornisse un’idea da afferrare da sola, per poi ritrovare le altre alla fine.
L’opera si sviluppa su livelli circolari. Il primo stadio è quello del sonetto.
Nella versione autografa Cod Vat 3195 il sonetto riporta due endecasillabi sulla stessa riga ed è costituito da 7 righe di 22 sillabe. Queste sono le misure di un cerchio di raggio sette e della sua semicirconferenza. L’area è 154, esattamente come le sillabe del sonetto.
– I numeri della vetrina! – esclamò Bianca.
Egle tacque, immobile. Mentre con gli occhi proseguiva la lettura.
Il secondo livello è quello dell’intera opera, progettata come un cerchio metaforico di 366 poesie, un anno di 1+365 unità.
Il CICLO è un KYKLOS, una forma circolare che ha misure precise, una circonferenza e un diametro numerici.
Dove si trovano le misure?
Le date riportate nell’opera sono la chiave per aprire la porta della conoscenza.
Un nuovo collegamento portava a una nota più in basso, utile per approfondire.
Le date della storia d’amore NON sono indicazioni temporali e devono essere lette in un’altra prospettiva. Il conteggio dei versi fornisce la strada di una segmentazione dell’opera, l’intelaiatura di un disegno che rivela numeri divini.
Egle prese la parola.
– Le date sono paletti per delimitare le tappe del percorso ma le fasi non sono temporali, ho capito bene?
– Penso di sì. Sembra che tua madre abbia riassunto i punti essenziali sotto forma di domande per prevenire le vostre, come per guidarvi nella comprensione.
La luce della lampada era fievole e la vista si perdeva nelle scritte, che apparivano piccole e annodate. Bianca prese a leggere a voce alta per tenere ferma la concentrazione.
Decisivo è il diciassettesimo anno dall’incontro con Laura.
Nell’opera, è delimitato dai versi CXVIII e CXXII. Se si conteggiano gli endecasillabi fino ai sonetti corrispondenti all’inizio e alla fine, se ne calcolano da entrambe le parti 2401, che si può esprimere come il prodotto di potenze di 7.
Che cosa succede nel diciassettesimo anno?
Il poeta incontra in sogno una donna “più bella assai che’ l sole”. Questa gli promette la visione di un’altra donna, nata dallo stesso parto, che di lei “ha maggior luce”.
Nei versi centrali della canzone, la prima donna soleva il velo e permette al Poeta di vedere l’altra. La visione di quella realtà è strumento cruciale per l’interpretazione, la posizione dei versi in cui questo succede fornisce i numeri del cerchio.
Qual è la realtà svelata che Petrarca descrive con l’allegoria della donna piena di luce?
La rivelazione è descritta tra gli endecasillabi alla posizione 2478 e 2479, qui le due donne compaiono come duplice manifestazione della stessa realtà.
I rapporti tra questi due numeri e i versi totali dell’opera racchiudono, sorprendentemente, il valore di Pi greco.
Questa è la verità nascosta dal Canzoniere, Petrarca lo compone per tradurre il cerchio in Poesia. La struttura in endecasillabi e l’intelaiatura sistemica sono espressione linguistica di un problema che da sempre lega l’uomo al divino: la quadratura del cerchio.
– La quadratura del cerchio? – Esclamò Egle stupefatta.
– È un problema antichissimo – disse Bianca cercando di ricordare. Lessi qualcosa in proposito, tempo fa. Pare che sia presente in tantissime forme d’arte, tramandato come messaggio occulto rivolto a pochi iniziati. Evidentemente anche Petrarca ha fatto parte del gioco, con i mezzi della poesia.
Poi ripresero a leggere, proseguendo sugli ultimi appunti riportati.
Il V sonetto svela la trama dell’opera. In un gioco di parole, il poeta scrive delle sillabe maiuscole.
Qui si nasconde il nome di Laura, che Petrarca chiama Laureta.
Quand’io movo i sospiri a chiamar voi,
e’l nome, che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s’incomincia udir di fore
Il suon de’primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che’ncontro poi,
raddoppia all’alta impresa il mio valore;
ma, – TAci – grida il fin: -che farle on ore
è d’altri omeri soma, che da’ tuoi-.
Laura è l’allegoria di Pi greco,
la conoscenza invalicabile, il simbolo del mistero metafisico celato nel rapporto tra ogni circonferenza e il suo diametro. È l’essenza divina della perfezione irraggiungibile, l’anelito alla forma circolare.
Laura è il principio sempre sottratto alla mente dell’uomo, velata in tutta l’opera e raggiungibile solo come approssimazione; è la meta inaccessibile e divina, l’Uno e l’assoluto, la compiutezza del cerchio.
LAURETA è LA VERTÀ, forma medievale di LA VERITÀ e la Verità è PI GRECO.
Bianca ed Egle rimasero in silenzio, frastornate dalla scoperta.
Avevano bisogno di riflettere con calma, assimilare il senso di quel ritrovamento e coglierne le implicazioni alla luce del passato, un trascorso antichissimo che aveva invaso il presente fino a turbare l’equilibrio di un’intera discendenza, da secoli adattata al silenzio.
Girarono il foglio e scorsero, sul dietro della pagina, un’ultima scritta.
Era un’indicazione riportata con una grafia scomposta, fatta di caratteri spezzati, frutto di una mano nervosa e di un pensiero inquieto.
23 Maggio 1998
Avremmo voluto spiegare ancora, tante cose rimangono da dire.
Non siamo sicuri di avere il tempo per farlo.
Se altre spiegazioni non seguono a questa, andate all’Archivio di stato,
nel palazzo delle Procuratie Nuove.
Egle sentì un groppo in mezzo allo stomaco. Un garbuglio di sensazioni che sembravano stringere sempre più forte, dopo averle dato l’illusione di allentare.
– È il giorno dell’incidente – commentò – i miei genitori sono morti poco dopo aver scritto questo appunto.
– Che cosa vuoi fare? Chiediamo ad Ester di portarci all’archivio?
– Non abbiamo scelta. Voglio arrivare in fondo a questa storia una volta per tutte.
Presero i documenti e richiusero l’armadietto, poi chiamarono Ester per riattivare l’allarme.
– C’è modo di entrare all’Archivio di Stato? – le chiesero senza dare spiegazioni.
– Nessuno conosce questi spazi meglio di me, so dove sono riposte le chiavi di tutte le porte, comprese quelle degli edifici annessi alla biblioteca.
Poco dopo erano in strada, dirette al palazzo delle Procuratie nuove.
Il campanile batté tre rintocchi, Piazza San Marco era deserta.
Camminarono in silenzio, ciascuna persa nei propri pensieri.
Ester viveva la sua ultima notte al servizio della biblioteca e consacrava l’amicizia con Lidia; Bianca cercava nel buio la voce di Franz, come una carezza per farsi accompagnare.
Egle aveva la sensazione di essere in cima alla montagna, col passato alle spalle e la vita che finalmente poteva iniziare.
O forse si trovava lì, come Petrarca e tutti i suoi predecessori, tra la condizione divina e quella umana, distante dal centro ma protesa a curvare.
Nota perfetta di un violino accordato, fuoco perenne sull’altare, flusso continuo tra il cerchio ed il quadrato, sottile verità che sapeva captare.