Quel che conta del numero

Cinque noci sul tavolo. Le guardo, le sposto, le sfioro. Cerco tra loro il numero cinque, mi chiedo se sia possibile scorgerlo tra i gherigli e le dita.

Le noci sono sul tavolo, il cinque è nella mia mente. Potrei guardare cinque fiori o cinque candele consumate, avrei sempre lo stesso numero sospeso tra gli occhi e il pensiero.

Per vedere il cinque è necessario uscire dal concetto di noce, salire di un gradino nel processo di astrazione e separare le cose dal loro aspetto; occorre allontanarsi dalla forma dei gherigli per fornire un senso all’ idea di quantità. Facciamo la stessa cosa con i colori, riusciamo forse a descrivere il verde? Difficile farlo senza pensare a una foglia, a una collina o al cipresso che si vede in lontananza. Possiamo definire il verde solo mediante qualcosa che vanta il verde come proprietà ma non riusciamo a definire la proprietà da sola. Di nuovo dobbiamo uscire dall’oggetto per trovare quell’idea di verde che senza l’oggetto non sappiamo raccontare.

La concretezza è un tramite, l’idea la sta a guardare; la mente vola in alto e scorge ciò che non si può toccare.
Il cinque c’è ma la ricerca si fa ardita, sguscia dalla mano e si nasconde sulle dita.  È un ente astratto, un corpo non ce l’ha; si lascia immaginare ma descrive la realtà.

Il numero racconta qualcosa di essenziale, distingue quanto vale il profilo del plurale; è una lampada che spegne la luce su ciascuno e illumina l’insieme al momento del raduno.

Cantano in coro le voci degli oggetti liberi dai pregi e dai loro difetti; dicono ciò che ci è dato di sapere: quello che conta non si può vedere.

Potrebbero interessarti anche...