Intervista rubata a Enrico Giusti
Buon giorno. Mi chiamo Letizia Vaioli e ho una pagina su Facebook in cui racconto la matematica agli adulti. Vorrei chiederle un’ intervista.
– Prego, passi da me giovedì al Museo della Matematica, vediamo che cosa si può fare. Ma la avviso, ho molto poco tempo.
– Va bene, a giovedì.
Arrivo al museo prima di lui e mi metto a girellare per le stanze tra le macchine della geometria. Macchine per disegnare le rette e le ellissi, strumenti per rappresentare oggetti che vivono nella nostra mente e che, mediante le macchine, compaiono davanti ai nostri occhi, sotto le nostre mani.
Quando Enrico Giusti arriva mi porge la mano e mi invita a sedermi di fronte a lui. Lo guardo e penso che non sono completamente calma, avverto quella forma di rispetto istintivo che si prova nei confronti di chi sa tante cose e sa spiegarle bene, quella riverenza non richiesta verso la capacità di costruire col pensiero ciò che in pochi riescono a vedere. Allungo il foglio con le domande per l’intervista, lui lo prende e, ancor prima di guardarlo, ribadisce di non avere molto tempo a disposizione.
Poi legge di sfuggita la prima domanda. Avvicina il foglio alla faccia e lo legge tutto. Lo appoggia, lo riprende e lo riguarda. Lo appoggia e lo riprende ancora, non dice nulla e continua a guardarlo.
Finalmente rompe il silenzio.
– Alcune domande sono interessanti, su altre non saprei che dire. Questa per esempio, in cui si parla delle immagini mentali. Mi chiede di raccontare che cosa vedo quando penso a un’incognita o a una funzione, ma io non vedo niente. Sono concetti talmente sedimentati che non hanno bisogno di alcuna immagine. Perché lei vede qualcosa con la parola ‘incognita’?
– Sa, io faccio l’insegnante in una scuola superiore, trovare immagini per aiutare a capire è il mio lavoro. Quindi sì, vedo un pacchetto chiuso, una scatola, un gomitolo.
– Capisco. Forse cercherei un’immagine mentale se pensassi alla parola ‘ Superficie di Riemann’, forse lì cercherei di aggrapparmi a qualcosa. Davvero lei vede un gomitolo?
– Sì davvero, mi immagino un filo ingarbugliato che si scioglie quando si risolve un’ equazione. Ogni passaggio libera un po’ di spago.
Inclina la testa come per riflettere, poi riprende il foglio tra le mani e legge un’altra domanda.
– Questa è facile, posso rispondere subito. Mi chiede di raccontare l’eleganza della matematica. Per me un procedimento è elegante quando è essenziale, quando appare subito chiaro dove porta e in poche righe riesce a far emergere tutta la sua efficacia; senza giri di parole insomma –
Lo guardo e penso che i giri di parole sono, in questo contesto, lunghi passaggi pieni di calcoli e di richiami verso altri concetti, nuovi gomitoli da srotolare in pagine di ragionamenti e deduzioni. Quindi chiedo:
– Si può dire che l’eleganza risieda nella capacità di catturare l’essenza di qualcosa, come succede per l’arte?-
– Sa, in matematica si dimostra una volta per tutte. L’importante alla fine è arrivare al dunque e questo è accettabile comunque ci si riesca, purché il percorso sia corretto. Solo dopo che si è dimostrato qualcosa lo si può riutilizzare disinvoltamente ovunque se ne presenti la necessità. Certo è che una dimostrazione corta ed efficace illumina la strada più breve per arrivare alla meta, è lì che sfoggia tutta la sua eleganza –
Facciamo qualche secondo di pausa, poi riprende il discorso.
– Nella prima domanda mi chiede se è vero che i matematici sono distaccati dalla realtà, se hanno la testa tra le nuvole. Per quanta mi riguarda non credo che sia vero. Che c’entra, quando faccio matematica penso solo a quella, ma quando faccio ginnastica, per esempio, non ci penso.
– Davvero riesce a non pensarci?-
– Sì …. No. – Poi inclina la testa dall’altra parte mentre pensa a qualcosa e ribadisce – Sì – E poi ancora – No.
Alla fine aggiunge: – La matematica è una cosa strana, vince lei –
Quell’istante di esitazione ha attirato tutta la mia simpatia, l’espressione del suo sguardo ha fatto trapelare in qualche modo l’immagine dei suoi pensieri: riflessioni sfumate che riempivano i puntini di sospensione lasciati tra ciascuno dei suoi sì e ciascuno dei suoi no. Riprendo a parlare io.
– Dove vivono gli oggetti della matematica?
– Questa è una domanda ampia, sull’argomento ho scritto anche un libro … come faccio a rispondere così su due piedi?
– Per esempio può dire quello che dice nella prima parte del libro (Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Enrico Giusti, Bollati Boringhieri) , quando racconta che ogni matematico prima o poi si è chiesto se la matematica sia una scoperta oppure un’ invenzione. Per dirla con le sue parole, “Nella mente di ogni matematico affiora il dubbio se la materia di cui è intessuta la sua scienza non sia altrettanto sottile di quella di cui sono fatti i sogni” .
In quel momento ho pensato che quelle parole, lasciate cadere alla fine di un discorso, fossero semplicemente perfette. L’ho pensato ma non gliel’ho detto; ho scelto di tacere il mio senso di meraviglia per più motivi: il primo è che non volevo cadere in un eccesso di piaggeria; il secondo, che ho concretizzato solo successivamente, si nutriva del fatto che quelle frasi, come tante altre, avevano generato in me un risveglio poetico struggente; erano diventate mie dall’ istante in cui le avevo incontrate a pagina 15 e adesso le custodivo in silenzio, come si fa con le cose private. Quindi ho proseguito:
– Lei sostiene l’idea che gli oggetti matematici provengano non dall’astrazione degli oggetti reali, come si è spesso pensato, ma da un processo di oggettualizzazione di procedure. Nella prima fase della costruzione del pensiero matematico erano procedure legate alla necessità di convivere con la natura, come è successo per gli agrimensori egizi che misuravano i terreni con delle funi annodate e utilizzavano le proprietà dei triangoli rettangoli. Oppure come è accaduto per le sezioni coniche, quando i greci le hanno ricavate dall’intersezione di un piano con un cono . In altre parole gli oggetti matematici fissano e generalizzano l’operare umano.
Lui mi guarda e sorride, poi aggiunge:
-Vedo che ha studiato
– Ho studiato. E sorrido anch’io.
In quel momento bussano alla porta; la signora che lavora alla reception del Museo gli dice che sono arrivate le persone con cui aveva appuntamento.
Prosegue il discorso prima di andare:
-L’ultima domanda, sull’utilità della matematica nella vita di tutti i giorni, la sottoscrivo in pieno; sono d’accordo con lei quando dice che il singolo individuo vive anche con poche conoscenze in ambito matematico mentre la società ha bisogno di un alto livello. Senza matematica non c’è progresso, è vero.
Ci alziamo per salutarci, mi dà la mano .
– Mi scriva tra una settimana e vediamo se riusciamo a trovare il modo di fare questa intervista, nonostante i miei impegni siano moltissimi e il mio tempo sia sempre troppo poco.
Io esco, cammino verso la macchina e ripenso a tutto quello che mi ha detto.
Cammino e penso, penso e cammino. Poi d’improvviso arriva una sensazione di gioia inaspettata, come quando un bel panorama compare dietro la curva.
Eccola qui l’intervista, arrivata come arrivano le cose belle della vita, senza avvisare.