Tutti gli attimi del calendario
Geremia aprì la porta del negozio e batté le scarpe sullo zerbino per staccarne la neve.
– Buona sera – disse sul trillo d’ingresso.
Non sentì risposta e dopo un attimo di esitazione si fece avanti.
– Buona sera! – ripeté più forte.
– Quanta fretta – sentì dire in lontananza.
– Scusi, non l’avevo sentita.
Dal fondo del negozio comparve una sagoma, la figura di un uomo alto e corpulento che indossava un maglione beige e una barba di mezza lunghezza, vagamente scomposta.
– Per sentire bisogna ascoltare – disse l’uomo mentre avanzava – un verbo inesplorato dalla gioventù.
– Posso dare un’occhiata? – riprese Geremia incurante dell’osservazione – sto cercando un regalo per la mia ragazza.
– Prego, il negozio è a sua disposizione. Se ha bisogno chieda pure, ma non è detto che le risponda.
– Allora che cosa chiedo a fare?
– Ho detto che non rispondo.
– Ma ha già risposto!
– Io no, sono stato zitto.
L’uomo si mise seduto su uno sgabello in fondo al negozio, afferrò un pezzo di legno e riprese i suoi lavori di cesellatura.
Geremia fu colto dalla tentazione di andarsene, irritato dalla supponenza di quel vecchio maleducato che evidentemente non conosceva l’importanza delle buone maniere nel rapporto con i clienti, ma sentì l’istinto di dare comunque uno sguardo alla merce in esposizione, colto da uno strano senso di curiosità per tutto quello che stava vedendo.

Sugli scaffali, un’insolita mescolanza di oggetti coperti di polvere faceva bella mostra di sé: burattini, marionette, collane appoggiate su scrigni rivestiti di pietre e sfere di vetro da usare come fermacarte; soprammobili e monili di diversa fattura esibivano il fascino d’un tesoro sommerso che improvvisamente tornava alla luce.
– Bella questa – disse prendendo in mano una collana. Quanto costa?
– L’uomo si sporse dallo sgabello, dette un’occhiata fugace e non disse nulla. Poi riprese a cesellare.
– E questo? – riprovò il giovane mostrando un cofanetto dorato.
L’uomo guardò ma, di nuovo, tornò a lavorare in silenzio.
Geremia non seppe che fare e decise di andarsene, si girò verso la porta del negozio e fece qualche passo in direzione dell’uscita quando la sua attenzione fu colta da qualcosa.

Nella parte posteriore dell’ultimo scaffale notò uno strano oggetto, una specie di disco di legno su cui sporgeva un cerchio più piccolo, incernierato al centro, che a sua volta ne ospitava uno ancora inferiore. Sembrava una torta a tre piani, simile a quella degli sposi, solo che era di legno e completamente marrone.
Si allungò nel tentativo di estrarla ma batté col gomito e fece cadere un piccolo vaso pieno di bilie colorate.
– Mi scusi, le raccolgo subito! – disse mentre si chinava.
– Ha cercato di afferrare il disco? – sentì dal fondo.
– Come lo sa?
– Sono cascate le speranze.
– Che cosa sono cascate?
– Le speranze! Vede? Sono tutte per terra.
– Dalle mie parti si chiamano bilie.
– Che cosa?
– Come che cosa, le palline di vetro … quelle che sono cadute. Dalle mie parti si chiamano bilie!
– Anche dalle mie.
– Avevo capito che le chiamava speranze.
– No, no… io le chiamo bilie.
– Uffa – sbottò Geremia – lei è veramente fastidioso. Me ne vado.
– Si vede che non le ha ritrovate tutte. Ne manca certamente una.
– Che cosa manca?
– La speranza. Se abbandona l’impresa, significa che l’ha persa. Guardi per bene anche negli angoli…lì … vede? Mi sembra di ravvisare un riflesso azzurrino…
Geremia si piegò di nuovo e inclinò la testa.
– Ha ragione… eccola!
– Bravo ragazzo. Adesso può prendere il calendario.
– Quale calendario?
– Quello che voleva vedere. Mi ha detto che le sono cadute le speranze mentre cercava di afferrarlo.
– Sta dicendo che questo cerchio di legno è un calendario? – chiese Geremia tenendolo tra le mani.
– Esattamente.
– Ma non ci sono i giorni!
L’uomo prese in mano il disco e lo guardò con attenzione.
– Ha ragione, non ci sono.
– Allora che calendario è?
– È un almanacco ligneo, segna quello che deve segnare.
– Che deve segnare?
– Quante domande, giovanotto … si moderi!
– Si moderi lei! Da quando sono entrato non fa che trattarmi male.
– È perché sono anziano.
– Che c’entra?
– C’entra, la mia ruota ha fatto più giri della sua.
– Sarà mica geloso?
– Sono sempre stato disobbediente, adesso disobbedisco alla rassegnazione. Se ne accorgerà anche lei man mano che scorrono gli anni, non è facile andare d’accordo col tempo che passa.
– È per questo che ha fatto il calendario senza giorni?
– Per quanto giovane, lei ha una ragguardevole capacità deduttiva.
Geremia fece un sorriso compiaciuto. Riconobbe nelle parole del negoziante una vena di malinconia, la sua voce divenne più accomodante ed ebbe voglia di riprendere il discorso.
– Non ho ben compreso l’utilità di questo calendario – disse – se non ci sono i giorni, qual è il suo utilizzo?
– Le spiego. Arrivati a una certa età ci guardiamo indietro e facciamo il punto della situazione. Ci accorgiamo che abbiamo passato gran parte della vita a contare i giorni, a scandire il passaggio da un numero all’altro per sentirci presenti, a nostro modo vivi. Quando siamo vecchi, quei numeri finiscono nel mare della memoria, diventano un flusso indistinto di cui non siamo padroni. Sa che cosa ci ricordiamo, invece? Ci ricordiamo le emozioni, le speranze, le volte in cui avremmo voluto parlare e abbiamo taciuto, gli errori che vorremmo non aver commesso e gli abbracci che ci sono rimasti nelle mani. Rammentiamo gli sguardi, i baci, le parole sussurrate; il senso di pienezza di certe giornate in cui credevamo di cambiare il mondo, l’amarezza della delusione e la gioia di ogni seme germogliato all’improvviso. Quelle sono le cose che contano, i momenti che dobbiamo segnare sul nostro calendario.
L’uomo mise l’oggetto in orizzontale, per renderlo visibile. Geremia notò che era completamente coperto di solchi, piccole incisioni circolari che ricordavano quelle dei dischi in vinile che i suoi genitori conservavano in salotto a difesa di un secolo ormai passato di moda.
– Vede? Lei si trova qui – disse Geremia indicando il centro. I dischi girano, lei rimane fermo. Sa cosa significa?
– No
– Qualsiasi cosa stia cambiando intorno, lei la vede dal suo punto di vista. Sa quanti raggi ci sono in una circonferenza? Infiniti! Eppure ciascuno racconta qualcosa. Pensi come siamo complessi, ogni istante è uno scrigno da aprire.
– Non credo di aver compreso bene. Perché ci sono tre cerchi? E cosa c’entrano i raggi?
– Partiamo dai cerchi. Il primo, quello più esterno, rappresenta l’avere: ciò che noi riceviamo in questa vita. Sono i doni che ciascuno coglie nel giardino in cui si trova a nascere: le persone che incontra, le possibilità di realizzare i progetti, la forza del corpo che diventa energia per la mente. Ogni istante ha la sua dote, un corredo prezioso che non dobbiamo scordare di avere con noi.
Il secondo cerchio, invece, è il cerchio del dare: tutto quello che noi restituiamo alla fortuna di vivere. È la mano che sappiamo tendere, i sorrisi che offriamo, il rispetto per ogni forma di vita che ci capita di incontrare. È il cerchio della riconoscenza e della restituzione, ruota insieme all’altro e non dobbiamo mai farlo arrestare.
– Ma è più piccolo! Significa forse che abbiamo meno possibilità di dare piuttosto che di avere? – chiese d’istinto Geremia.
– Niente affatto. Il cerchio è più piccolo ma contiene la stessa quantità di punti. Guardi qui.

Il vecchio indicò con il dito il centro del disco, poi riprese a parlare.
– Immaginiamo di tracciare un raggio partendo proprio da qui, dalla sua posizione. Vede? Taglia la circonferenza più piccola e arriva diritto a quella più grande. In ogni istante le tocca tutte e due!
– Sta dicendo che i due cerchi, per quanto di lunghezza diversa, hanno la stessa quantità di punti?
– Esattamente. Ci convinciamo spesso che la nostra possibilità di dare sia poco importante, un’attitudine trascurabile e inadatta a cambiare le cose… invece è come quella di avere.
– Sorprendente! E il cerchio più interno, quello ancora più piccolo, che cosa rappresenta?
– Quella è la ruota dei sogni, la più vicina al nucleo. Vede…in ogni attimo della sua vita, mentre tutto gira, i punti sulle tre circonferenze descrivono una parte di lei. In ogni momento c’è qualcosa cha ha avuto, qualcosa che ha dato e un sogno profondo che le riscalda il cuore.
Geremia rimase in silenzio. Gli parve improvvisamente che in quel calendario ci fosse tutto quello che poteva servire per dare senso alle sue giornate. Fu colto dalla sensazione di aver posato lo sguardo su un riflesso inesplorato e di aver visto, per qualche istante, il centro del fuoco.
– Vorrei acquistarlo – disse con la voce piena di sorpresa.
– Lo prenda, è suo – rispose il negoziante – lo consideri un regalo dalla generazione precedente. Le mie ruote stanno terminando i loro giri, è di grande consolazione sapere che riprenderanno con lei. Poi afferrò il vaso di bilie e aggiunse:
– Non si scordi queste, fanno parte del corredo. Vede… un vecchio può passare a un giovane tante cose, ma le più importanti sono sempre le speranze. Senza di quelle manca lo slancio, la rincorsa per ogni partenza.
Geremia fece un sorriso, afferrò il vaso e si avviò verso l’uscita del negozio.
Arrivato in fondo si girò un’ultima volta:
– Mi prenderò cura del suo dono, glielo prometto.

Il primo di gennaio, Geremia mostrò il calendario alla sua ragazza.
– Che cosa vedi? – le chiese incuriosito.
– Tre cerchi di legno – rispose lei.
– Guarda meglio.
– Non so… che cosa dovrei vedere?
– È un oggetto speciale, un calendario.
– Mi piace, anche se non ha i giorni. Significa che staremo insieme senza contare il tempo che passa.
Geremia fece un sorriso, poi prese il vaso di bilie e lo svuotò sulle ruote del calendario. Un turbinio di palline di vetro prese a girare sui solchi, mescolando i colori nei riflessi di luce.

Si fusero insieme il rosso del tramonto e l’azzurro intenso della primavera, il giallo dell’oro e il verde della rinascita. Si mescolarono il grigio e l’avorio, l’ocra e il marrone; le tinte più scure diventarono venature su miriadi di farfalle che presero a volare per tutta la stanza.
I due ragazzi si affacciarono alla finestra, tutto si era riempito di colori.
– Esprimiamo un desiderio per l’anno che inizia – disse lui mentre le stringeva la mano – un sogno che valga per tutti in questo tempo disperato.
Lei chiuse gli occhi e lasciò andare il suo pensiero.
Lui fece altrettanto.
Avevano chiesto la stessa cosa: la possibilità di un cambiamento, una nuova occasione.
