Il paradosso del tempo
Tommaso guardò l’orologio e si legò i lacci delle scarpe.
-Se non mi sbrigo perdo il treno della notte – pensò – come al solito sono in ritardo.
Si mise addosso la giacca di velluto, chiuse la borsa di pelle e afferrò la sciarpa a righe sull’attaccapanni.
Schizzò fuori di casa, dette un paio di mandate alla porta e infilò le chiavi nel sottovaso sul pianerottolo, un recipiente scolorito che da anni ospitava una pianta finta e piena di polvere sulle tre foglie superstiti.
Voltò l’angolo della strada e aumentò il passo fino alla fermata dell’autobus, salì sul pullman e giunse finalmente alla stazione.
Appena entrato nell’atrio sentì l’annuncio dell’altoparlante:
Il treno per Parigi è in partenza al binario otto
Iniziò a correre e arrivò trafelato alla prima carrozza, inseguito dal rimbrotto del capostazione.
-Si sbrighi giovanotto! Sto per fischiare!
Salì, appoggiò la mano sul palo all’ingresso e si piegò col busto per riprendere fiato. Ce l’aveva fatta.
Dopo qualche minuto si avviò per cercare il suo posto, entrò nella cabina letto e notò con soddisfazione che al momento era l’unico occupante. Si sfilò le scarpe e conquistò, a mo’ di basso rilievo, la cuccetta al piano superiore con l’intento di riposarsi mezz’ora prima di iniziare a lavorare. L’indomani sarebbe stato un giorno impegnativo, avrebbe presenziato come giornalista freelance alla conferenza sul clima e voleva riguardare i temi all’ordine del giorno.
-Speriamo sia la volta buona – pensò prima di chiudere gli occhi – sono anni che si parla di cambiamenti climatici, si parte con mille speranze e alla fine non si arriva da nessuna parte. C’è una specie di buco nero che separa i propositi dalle azioni concrete, sembra impossibile oltrepassarlo senza rimanere inglobati nella voragine del nulla.
Con queste parole nella mente, Tommaso si addormentò. Cadde in un sonno profondo e riparatore, giustificato dalla stanchezza e dalla vita sregolata delle ultime settimane. Aveva appena finito un reportage sulle droghe sintetiche e aveva passato diverse notti tra locali e discoteche per realizzare le interviste, era reduce da un periodo di alcol e di fumo durante il quale raramente aveva visto la luce del sole.
Nonostante il rumore ferroso che passava dal finestrino, Tommaso perse il controllo del tempo e dormì per diverse ore fino a quando, a notte fonda, fu svegliato da una brusca frenata.
-Che cos’è stato? – chiese di soprassalto mentre si alzava col busto sul materasso della cuccetta.
-Sono le due e venti – sentì rispondere.
Rimase interdetto per qualche secondo e si stropicciò gli occhi. Avrebbe giurato di essere solo, evidentemente qualcuno era entrato in cabina mentre lui dormiva. Sporse la testa dal letto e notò un paio di piedi che sbucavano dal lenzuolo del piano di sotto. Rimase impressionato dalla quantità di rughe e dal colore giallognolo delle unghie: il proprietario di quelle gambe doveva certamente essere molto vecchio.
Si protese in avanti per vederne la faccia e scorse una lunga barba bianca, sopra la quale campeggiavano un naso bitorzoluto e due vivissimi occhi neri.
-Salve – disse Tommaso – non l’ho sentita entrare.
-Infatti non sono entrato – rispose l’anziano signore – sono comparso direttamente qui.
-Come scusi?
-Ha capito bene, alle 2 e 20 mi sono trovato dove ora lei mi vede. Era dal 2012 che non mi accadeva, il 21 febbraio per la precisione.
-E nel frattempo che ha fatto? – chiese Tommaso mentre sbadigliava, a metà strada tra il sonno e la curiosità.
-Ho girovagato per il treno, ormai lo conosco come le mie tasche. Non è stato facile entrare nel meccanismo delle rotaie e del motore, ai miei tempi non c’era.
-Abbia pazienza, non ho capito bene. Sta dicendo che lei si trova su questo treno dal 21 febbraio del 2012?
Tommaso guardò con cura il suo interlocutore e vide che indossava una tunica scolorita, fermata in vita da una cintura di cuoio, e un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio, quasi completamente lisi.
-Esattamente – rispose l’uomo.
Il giovane giornalista non resistette e allungò il braccio per toccare, con la punta del dito, la gamba del misterioso passeggero.
-Tocchi, tocchi: sono vero.
-Scusi sa, mi era venuto il dubbio di essere in un sogno.
-Eh, magari! Invece siamo intrappolati in loco e ho motivo di pensare che ci resteremo ancora per un po’. Fino a quando non lo sappiamo ma … mi creda, si va per le lunghe vie. Se la vuole sapere proprio tutta, la prima volta che mi sono manifestato in questo posto correva l’anno 1001, assai prima che arrivasse il treno. Camminavo sulla collina qua sotto, era il 10 gennaio; lo ricordo perfettamente perché compivo 38 anni. Stavo tornando alla mia dimora quando, alle 10:01, ho visto comparire una voragine e mi ci sono trovato dentro. Guardi poi come è andata: vago ancora in questi spazi. Pensi che alla fine del 1500 il calendario è stato pure cambiato, ma ormai io ero già qui. Che ci vuole fare, son cose che capitano. Da allora sono apparso e scomparso in molte occasioni, l’ultima appunto nel 2012. Quando è passata per la prima volta la ferraglia ci sono salito sopra in cerca di un riparo, almeno adesso ho un tetto sulla testa. Anche se, devo ammettere, tutto questo frastuono comincia a darmi noia, e il bagno è sempre occupato.
L’uomo con la tunica fece una breve pausa. Il giovane lo guardava impietrito, incerto se credergli o tornare a dormire. Continuò a fissarlo finché lui riprese a parlare.
-Non sono mica l’unico sa, qui dentro siamo una multitudo! Tutti ex aequo, con gli stessi meriti del caso. E lei da oggi è un ante litteram per quelli che verranno, genius loci come me.
-Gentilissimo, grazie davvero … ma proprio non posso accettare! E poi, mi creda, non ho fatto nulla per essere così meritevole.
Tommaso frugò nelle sue reminiscenze scolastiche e, pur nella drammaticità del momento, si sentì di assecondare il linguaggio aulico della controparte, nel goffo tentativo di onorare l’onorevole discendenza dal passato. Così aggiunse:
-Domine, non sum dignus!
-Invece sì, caro mio! È passato di qua in un giorno palidromo, esattamente allo scadere di un’ora palindroma. Come tutti noi, del resto. Vede? Oggi è il 2 febbraio del 2020. Se legge la data al contrario i numeri sono esattamente gli stessi!
Alle due e venti esatte, anche l’ora poteva essere invertita:
02 : 20
così lei, che si è trovato qui in quel preciso momento, è rimasto incastrato nel tempo. Come si dice … hic et nunc, qui e adesso, solo che adesso dura per l’eternità!
-Sta dicendo che alle 02:20 il tempo si è fermato?
Tommaso scese dal letto e corse al finestrino per guardare fuori. Poi tirò un sospiro di sollievo.
-Ma no – disse – stiamo viaggiando!
-Guardi meglio, controlli con attenzione. Il paesaggio non scorre, ha la sensazione di muoversi ma davanti agli occhi ha sempre lo stesso panorama, verifichi lei stesso.
Tommaso guardò di nuovo.
Non poteva credere a ciò che stava vedendo: nel buio della notte, la sagoma di un pioppo si proponeva all’infinito con lo stesso brusco movimento della chioma che veniva scossa dal vento. Avvertì la soffocante sensazione di trovarsi su un nastro del cinema che veniva continuamente riavvolto: condannato alla ripetizione eterna dello stesso movimento.
-Ma come è possibile – disse – questo è pazzesco!
-Ora le spiego. Si metta comodo, tanto il tempo non ci manca. In tutti questi anni mi sono fatto una certa idea su come le cose possano essere andate. Se vuole gliela illustro.
-Sentiamo – disse Tommaso mentre si metteva le mani sul viso in segno di disperazione – per quel che abbiamo da fare…
-Dunque … come posso explicare … sì, diciamo così …pensi a qualcosa che si muove, per esempio una palla che viene lanciata. Se si sposta significa che la sua posizione cambia nel tempo, giusto?
-Giusto.
-Ora immagini di scattare, con la vostra moderna tecnologia, una foto della palla ogni decimo di secondo. Otterrebbe una sequenza di immagini della palla in posizioni diverse. Ma in ciascuno di questi attimi, la palla appare ferma. Il suo moto è dunque dato dalla somma di stati immobili, mi segue?
-Abbastanza, ma continui pure.
-È proprio questo il punto della situazione, una somma di stati immobili non può dare il movimento! Ora, se invece della palla pensa alla lancetta dell’orologio, il ragionamento è perfettamente identico: istante per istante la lancetta sta ferma, quindi alla fine non si muove.
-C’è qualcosa che non torna – obiettò Tommaso – nella realtà questo non succede: il tempo scorre, eccome se scorre!
-Bravo giovanotto, vedo che è dotato di fine intelletto. Mi segua fino in fondo, ora arriva il bello. Nella realtà, tra due scatti della lancetta ci sono altri scatti e tra questi altri ancora. Se avessimo fotocamere infinitamente veloci, potremmo creare un’immagine tra due posizioni qualsiasi, anche se sono vicinissime! È proprio quest’abbondanza di posizioni, talmente fitta da non poter essere descritta, che dà la continuità e consente lo spostamento. Tornando a noi, invece, alle 02:20 è successa una fatalità ineluttabile: il tempo si è impigliato nel fosso delle cifre ripetute, proprio in mezzo allo specchio che riflette l’ora al contrario. La lancetta ha perso l’attimo, non è potuta scorrere in avanti ed è rimasta incagliata! Chi avrebbe mai potuto prevedere una sciagura simile, solo chi c’è già passato è al corrente della situazione, ma non lo può raccontare…
Tommaso guardava ammutolito, incredulo e confuso da quell’insieme di parole. Cominciò a sentire un leggero formicolio sulla punta dei piedi. La vista lentamente si appannava mentre i movimenti delle sue mani apparivano sempre più frammentati, simili a quelli di un robot. La voce dell’uomo diventava progressivamente più distante, sembrava provenire da un’altra stanza e poi da un’altra ancora, impossibile da raggiungere. Cominciò a sudare e a gemere mentre sentiva in lontananza l’eco di parole confuse e sovrapposte. Voragine…immobilismo… ore ribaltate e poi ancora conferenza sul clima, ritardo, fine del tempo … ogni vocabolo appariva angosciante e tremendamente incatenato al significato degli altri.
Le pareti della cabina presero a oscillare, allungate e contratte in forme inverosimili. Stava per svenire, soffocato dalle voci e dai pensieri, quando sentì un rumore, un ticchettio nitido e incredibilmente reale.
Aprì un occhio, poi l’altro e vide, nei contorni sfumati dell’abitacolo, la linea diritta delle pareti. Realizzò che avevano bussato alla porta della cabina e comprese solo allora di essersi appena svegliato.
-Era un sogno, era solo un sogno! – disse tra sé.
Scese dal letto e aprì la porta, ancora turbato e madido di sudore. Si trovò davanti il controllore del treno.
-Biglietto, prego.
-Certo, certo … lo prendo subito.
Tommaso estrasse la ricevuta dalla borsa e la mostrò all’uomo in divisa.
-Bene – disse lui – mi scusi se ho interrotto il suo riposo.
-Non poteva farmi un piacere più grande, mi creda. Ero nel bel mezzo di un incubo.
L’uomo sorrise, poi gli ripassò il biglietto e si girò per andare.
Tommaso stava per chiudere la porta, quando il suo sguardo fu attratto da qualcosa. Si stropicciò gli occhi e di colpo cambiò espressione.
L’uomo in divisa non aveva le scarpe. I suoi piedi, che sbucavano dal fondo dei pantaloni, avevano una gran quantità di rughe e le sue unghie erano incredibilmente ingiallite.