La stanza degli specchi
Viaggio tra i neuroni specchio con Marco Iacoboni.
Preparare un’intervista, per me, è come allestire uno spettacolo teatrale. All’inizio il palco è vuoto, grosso modo uguale a tutti i palchi del mondo: un pavimento di legno che scricchiola sotto i piedi. Gran parte del fascino è legata proprio a questa sua capacità di accogliere qualunque cosa, una versatilità che stuzzica la curiosità e stimola l’immaginazione nell’attesa di uno sfondo su cui montare la scena.
Un palco vuoto è grosso modo come un foglio bianco: uno spazio immateriale che anticipa il primo panorama e in cui tutto può succedere.

Il modo migliore per gestirlo, a mio avviso, è danzarci dentro con la fantasia, seguire il suono che desideriamo sentire e girare nell’aria tra le forme dei nostri pensieri. Può sembrare strano ma, dopo un po’ che volteggiamo, prendono corpo l’ambientazione, i personaggi e perfino l’intreccio del racconto.
Quella di oggi è una piroetta nel mondo della Neurobiologia, una sbirciatina sul funzionamento del nostro cervello e sul prodigioso modo che abbiamo di connettere le idee.
Prende spunto da un bellissimo libro che mi è recentemente capitato tra le mani, un saggio sui neuroni specchio che ho letto tutto d’un fiato, come di solito si leggono le ultime pagine di un giallo mentre si pregusta il finale.
Una volta bevuta anche l’ultima pagina, ho contattato l’autore e gli ho chiesto un’intervista per il blog di Buongiorno Matematica.
Con grande semplicità e cortesia (cosa che solo i grandi riescono a fare ma i piccoli non lo sanno), lui ha accettato di rispondere alle mie domande.
Quello che state per leggere è quindi un dialogo tra me e Marco Iacoboni, Professore di Psichiatria e Scienze Biocomportamentali all’Università della California di Los Angeles e direttore del Laboratorio di Stimolazione Magnetica Transcranica. La nostra conversazione, viste le distanze, ha preso vita in uno scambio di mail. Nella mia narrazione, però, il contesto è indubbiamente quello di un palco e il posto in cui vi porto è l’allestimento di uno show straordinario che ha come ambientazione naturale la vostra testa e quello che vi succede dentro durante la giornata.

Eccoci dunque pronti a partire, sta per aprirsi il sipario.
Si spengono le luci e cala il silenzio nella sala. Buon divertimento a tutti.
-Buon giorno Marco, ben arrivato su questa pagina bianca.
Lui è seduto su uno sgabello verde, io pure. Ho in mano mille fogli, appunti che mi sono scritta nel tentativo di sembrare meno impacciata su un argomento che mi affascina ma che conosco poco e su cui ho delle curiosità tutto sommato innocenti.
-Buon giorno a voi, grazie per l’invito.
– Prima di farti parlare dei neuroni specchio, mi piacerebbe fare una breve introduzione sui neuroni in generale. Posso dirti che cosa ho capito e mi dici se è corretto?
– Prego – dice lui sorridendo.
– Dunque, ho capito così. I neuroni sono cellule del sistema nervoso mediante le quali il nostro corpo raccoglie ed elabora gli stimoli provenienti dagli organi di senso, per poi attivare i muscoli e permettere il movimento di risposta. Per esempio, se tocchiamo un tegame bollente, i nostri recettori del dolore inviano un segnale al sistema nervoso e questo, mediante i neuroni, interpreta il segnale e produce la risposta attivando i muscoli interessati, che in questo caso saranno prevalentemente quelli della mano. Fino a qui ci siamo?

-Si, direi che in linea generale ci siamo!
Riprendo il discorso e faccio il punto sul sistema nervoso, in modo da avere pronto lo scenario per le domande che saranno rivolte a lui.
Il sistema nervoso è composto da due parti, che svolgono funzioni diverse.
La prima parte è il sistema nervoso centrale (SNC) che raccoglie, interpreta gli stimoli e fornisce le risposte. È a sua volta diviso in midollo spinale ed encefalo.
Il midollo spinale si trova all’interno della colonna vertebrale e si occupa dell’acquisizione sensoriale dalla pelle e dai muscoli e dell’invio dei comandi per i movimenti muscolari. L’encefalo, all’interno nel cranio, elabora e integra tutte le informazioni provenienti dagli organi di senso e rappresenta la sede delle emozioni e dell’intelletto.

La seconda parte è il sistema nervoso periferico (SNP), che mette in connessione il sistema nervoso centrale con gli arti, con gli organi e con tutti i tessuti del nostro corpo. È costituito dalle vie di comunicazione che, da un lato, portano al sistema nervoso centrale i messaggi provenienti dall’esterno e, dall’altro, consentono i meccanismi di risposta. È formato dai nervi e dai gangli, ammassi di corpi cellulari di neuroni.
La chiacchierata con te, oggi, verte su dei particolari tipi di neuroni che si trovano nell’encefalo, che è la sede delle funzioni psichiche tra cui l’attenzione, il pensiero, il ragionamento e la coscienza. Parliamo quindi dei neuroni specchio, scoperti tra gli anni 80 e 90 del secolo scorso da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, guidati dal Professore Giacomo Rizzolatti.
La prima domanda che ti pongo è questa: come si riconoscono i neuroni specchio? Sono diversi dagli altri neuroni?
Marco Iacoboni prende la parola per spiegare:
-I neuroni specchio vengono definiti dalle loro risposte funzionali a eventi e azioni, vale a dire da come essi codificano certi eventi e azioni. In questo senso sono diversi da altri tipi di neuroni. Per quanto non sia possibile vedere come sono fatti i neuroni che studiamo da un punto di vista funzionale, a causa di motivi pratici determinati dalle limitazioni delle procedure sperimentali che possiamo attualmente utilizzare, tutta una serie di dati e considerazioni ci fa pensare che i neuroni specchio appartengano alla classe delle cellule nervose denominate cellule piramidali (dalla loro forma); essi sono probabilmente identici però anche ad altre cellule piramidali che non sono neuroni specchio. Come definiamo allora i neuroni specchio? Li definiamo come cellule che si attivano sia quando eseguiamo un’azione, sia anche quando percepiamo la stessa azione eseguita da altri. Per esempio, per afferrare una tazzina di caffè, ho bisogno di tutta una serie di cellule nel mio cervello che si attivano per controllare i miei movimenti (in questo caso, afferrare la tazzina). Quando vedo un altro individuo afferrare una tazzina di caffè, una parte di quelle cellule che si erano attivate mentre io afferravo la tazzina (o pianificavo anche solo di farlo) si attivano di nuovo, anche se non sono io ad afferrare la tazzina, ma un’altra persona. È per questo motivo che chiamiamo tali neuroni ‘specchio’. Nel vedere le azioni altrui è come se ci rispecchiassimo e vedessimo noi stessi eseguire quell’azione.
Mi fermo a riflettere su quanto Marco ha detto: abbiamo in testa delle cellule nervose che si attivano quando ci muoviamo e le stesse cellule, meraviglia delle meraviglie, si attivano quando stiamo fermi ma vediamo altri che si muovono.
C’è qualcosa, in questa affermazione, che mi appare sorprendente. La reciprocità del nostro comportamento interiore mi fa pensare che siamo legati agli altri per natura: che ci piaccia o meno, una parte di noi partecipa in modo attivo e laborioso alle dinamiche di coloro che abbiamo davanti. È una sinergia che si presenta intima e inconsapevole, sottile come l’istinto e, proprio come l’istinto, beffardamente inevitabile.
Mi chiedo allora quanto siano interconnessi l’uno e i molti, il singolo e la collettività, l’individuo e l’intera società che lo contiene. Mi soffermo sulla lettera maiuscola che separa l’uomo dall’Uomo e mi perdo nell’idea che entrambe le parti, in qualche modo, siano uno scambievole riflesso.
Il singolo e la comunità appaiono come nodi di un elastico aggrovigliato: entrano l’uno nell’altro e poi si tendono per incontrarsi ancora.
Con questi pensieri nella mente riprendo il filo del discorso e propongo a Marco Iacoboni la seconda domanda.
I neuroni specchio si attivano nel nostro cervello quando vediamo qualcuno che fa un movimento. Come facciamo a prevedere l’azione che viene dopo quella osservata? Che cos’è che ci consente di capire l’intenzione legata all’azione che vediamo compiere?
Ci sono fondamentalmente due tipi di informazioni che i neuroni specchio usano per ‘prevedere’ il comportamento altrui: da un lato, a certe azioni che facciamo seguono, da un punto di vista probabilistico, certe altre azioni; dall’altro, il contesto in cui avviene l’azione che osserviamo ci permette di intuire ancora più precisamente quello che sta per succedere. Per tornare alla tazzina di caffè, se è piena di caffè bollente è probabile che chi l’afferra lo faccia per bere. Ma se è vuota, con tracce di caffè, è probabile che chi l’afferra la voglia mettere nella lavastoviglie.
Ecco dunque il peso dell’esperienza. Tutto quello che facciamo nel corso della vita rimane immagazzinato nelle tracce del nostro vissuto, strade su strade tra le connessioni dei nostri neuroni.
Se non fossimo in grado di riconoscere il contesto, cominceremmo sempre tutto da capo. La stessa incertezza, la stessa meraviglia, lo stesso senso di precarietà; cammineremmo in un labirinto di stanze tutte uguali, senza alcuna consapevolezza.
È la reminiscenza che consente l’evoluzione, senza memoria non c’è progresso.
La conoscenza è una rete a molte dimensioni, filamenti di cristallo che vengono forgiati col fuoco del ricordo e che cambiano forma quando sono ancora incandescenti, finché la nostra storia gli dà una direzione. In quel groviglio di maglie luminose trovano vita i nostri sogni, le nostre aspettative, la lunghezza del salto che sapremo fare. Ovunque atterreremo, saremo in grado di riconoscere lo sfondo, il quadro e infine anche la cornice, come un nuovo scenario da serbare.
Tutto questo, incredibile a dirsi, è reso possibile da una fitta sequenza di impulsi elettrochimici, un trasferimento di cariche elettriche dall’interno all’esterno delle singole cellule che prende vita dopo una stimolazione nervosa.
Mi rivolgo di nuovo a Marco per entrare nello specifico dei neuroni specchio e gli chiedo di spiegarmi qualcosa sulla loro localizzazione.
I neuroni specchio si trovano nella regione del cervello che controlla e coordina il movimento: solo in quella? Puoi raccontarci in poche parole come fanno gli scienziati a capire dove si trovano?
Esistono diversi modi di studiare il cervello, dalle neuroimmagini, alla elettroencefalografia, alla stimolazione cerebrale, per finire con gli studi comportamentali a seguito di lesioni cerebrali. Per studiare cellule singole, però, l’unico metodo è quello di introdurre degli elettrodi nel cervello. Gli scienziati utilizzano tecniche che permettono di posizionare molto precisamente gli elettrodi nelle aree cerebrali. Le proprietà funzionali delle aree del cervello sono fondamentalmente note (anche se ovviamente c’è ancora tantissimo da imparare), perciò per i neuroscienziati non è difficile posizionare gli elettrodi esattamente nelle aree cerebrali che intendono investigare. Le risposte ‘specchio’ dei neuroni motori (cioè i neuroni che controllano e coordinano il movimento) ovviamente erano inaspettate. Dopo le prime osservazioni, sappiamo adesso che ci sono neuroni specchio almeno in un’area cerebrale che non ha a che fare primariamente con il movimento. In uno studio da noi fatto su pazienti epilettici che dovevano essere operati al cervello – per i quali i farmaci non controllavano adeguatamente l’epilessia – abbiamo rilevato che esistono neuroni specchio nelle aree cerebrali della memoria. In questo caso, quello che noi pensiamo che succeda è questo: quando io afferro la tazzina di caffè, oltre alle cellule motorie che si attivano per controllare e coordinare i miei movimenti, si attivano anche le cellule della memoria per registrare la traccia mnemonica della mia azione. Nel momento in cui vedo un altro individuo fare la stessa azione, non solo riattivo una parte delle cellule motorie che erano attive durante la mia azione, ma riattivo anche quelle cellule della memoria che avevano registrato la traccia mnemonica dell’azione stessa. Il nostro cervello ci permette quindi un ‘rispecchiamento’ molto complesso delle azioni altrui, un meccanismo che è probabilmente anche alla base della nostra capacità di empatizzare.
Le ultime parole di Marco mi appaiono come un doppio salto mortale; una giravolta che prende vita da un’altra giravolta e innesca la miccia prima di atterrare.
I neuroni specchio trovano sede anche nella memoria e questa loro presenza ci consente di comprendere le emozioni altrui. Col pensiero del salto mortale faccio un sorriso e mi chiedo, d’istinto, se in quel gesto della mia bocca non vi sia il ricordo di tutte le emozioni legate al batticuore del circo, quando il trapezista salta nel vuoto e tutti rimangono col fiato sospeso. È forse l’impossibilità a immedesimarsi in qualcosa che non sappiamo fare che genera quel senso di fibrillazione? L’incapacità di provare quello che il trapezista prova mentre spicca il volo e noi stiamo lì a guardare, con i neuroni che di riflesso roteano e quelli del ricordo che non sanno roteare.

Non c’è quel batticuore quando vediamo qualcuno che afferra la tazza del caffè, perché quella è un’azione che conosciamo benissimo e che la nostra mente domina senza un grande sforzo di energie. Se il nostro amico, dopo aver bevuto il caffè, lanciasse improvvisamente la tazza in aria e la riprendesse con un movimento acrobatico, probabilmente scatenerebbe in noi un istantaneo senso di stupore e di incertezza, che si tradurrebbe in nuovi circuiti della memoria e in una domanda subitanea sul perché l’ha fatto. La nostra mente incrocia continuamente stimoli e informazioni per consentirci di interpretare la realtà; il nostro corpo è allo stesso tempo un mezzo e un filtro; è contemporaneamente l’involucro e il rilevatore di ogni avvenimento che passa dall’esterno e arriva alla nostra dimensione più intima.
Torno sull’ultima affermazione di Marco Iacoboni, quella che chiama in causa l’empatia, e gli chiedo un approfondimento.
In che modo i neuroni specchio consentono l’empatia?
L’idea generale è che noi usiamo il nostro corpo, soprattutto il viso ma non solo il viso, per esprimere le nostre emozioni. Se vedo qualcuno che ride, i miei neuroni specchio si attivano, producendo una specie di ‘imitazione interna’ della risata altrui e, attraverso connessioni cerebrali con le aree emozionali del cervello, l’attivazione dei neuroni specchio produce anche l’attivazione delle cellule che mi fanno provare le emozioni associate al ridere, generalmente emozioni positive, come è abbastanza ovvio. Questa serie di attivazioni sarebbe il meccanismo di base che ci permette di empatizzare con gli altri. Usando neuroimmagini, abbiamo infatti dimostrato non solo l’esistenza di questi circuiti cerebrali, ma anche che il livello di attivazione di queste aree cerebrali, misurato in laboratorio, correla con la predisposizione a empatizzare. In altre parole, più alta è la risposta dei neuroni specchio (e di conseguenza delle aree dell’emozione), mentre osserviamo altre persone esprimere emozioni, più siamo empatici. È come se provassimo le emozioni altrui mentre osserviamo gli altri ridere o piangere o esprimere paura o rabbia. Perfino un’emozione complessa come l’imbarazzo, se vediamo qualcuno fare qualcosa che lo imbarazza, evoca in noi un imbarazzo riflesso. Anche in questo caso, è probabile il coinvolgimento dei neuroni specchio.
Mamma mia, che risposta fantastica! – Esclamo io a voce alta. Sento il bisogno di ripetere in termini grossolani quello che ho capito per essere sicura di aver compreso bene. Quando vediamo qualcuno che ride, i nostri neuroni specchio ci fanno in qualche modo ‘imitare’ quella risata: la persona che abbiamo davanti si diverte e in parte sogghigniamo anche noi. Il nostro cervello, a quel punto, riceve uno stimolo dai nostri muscoli facciali e invia un segnale ai centri dell’emozione, che codificano un’esperienza di positività e ci fanno provare il benessere della risata. La stessa cosa succede se vediamo qualcuno che piange: d’istinto assumiamo i suoi lineamenti e dopo poco siamo tristi con lui.
Sulla base di questo prodigioso e inconsapevole funzionamento del sistema nervoso, ancora pervasa dalla meraviglia, mi viene spontanea una riflessione che presto diventa un invito alla condivisione.
Quando usciamo di casa la mattina, anche se è presto e abbiamo mille problemi legati alla gestione della nostra ingarbugliata quotidianità, cerchiamo di sorridere: altri non potranno resistere e di riflesso sorrideranno con noi.

In qualche modo diventeremo portatori di benessere e tutto intorno, anche il sovraffollato vagone del treno su cui ci troviamo, sarà miracolosamente più luminoso.
Col pensiero della risata collettiva nel vagone del treno, mentre la mia bocca ha ancora la forma di una parabola convessa, incrocio con lo sguardo l’orologio appeso sul set: il tempo è scorso veloce sul quadrante e io devo avviarmi verso la conclusione dell’intervista. Prima di salutare Marco Iacoboni e di restituirlo al suo preziosissimo lavoro, gli pongo un’ultima irresistibile domanda che riguarda il nostro modo di esprimerci.
In quale modo l’osservazione di azioni determina lo sviluppo del linguaggio? C’è una connessione diretta?E se si tratta di linguaggio astratto? La domanda è molto interessata, io sono un’insegnante e durante le mie lezioni gesticolo moltissimo. Se dovessi parlare con le braccia (e anche le gambe!) legate, probabilmente non mi seguirebbe nessuno.
I neuroni specchio sono stati originariamente scoperti in un’area del cervello della scimmia che ha molte similitudini con un’area del cervello umano importante per il linguaggio.
Ci sono teorie evolutive del linguaggio che ipotizzano che le forme di comunicazione antecedenti al linguaggio vero e proprio fossero basate sui gesti. In questo caso i neuroni specchio avrebbero favorito la comunicazione basata sui gesti proprio per la loro capacità di attivarsi quando osserviamo le azioni altrui, creando un ‘codice comune’ tra chi gesticola e chi guarda. Inoltre, ci sono molti dati a supporto del fatto che i gesti che compiamo quando parliamo sono importanti sia per chi ascolta che per chi parla. Esistono anche degli studi su bambini che apprendono concetti matematici i quali dimostrano che certi tipi di gesti prodotti dal bambino, mentre cerca di spiegare un concetto matematico appena appreso, sono predittivi della sua capacità di apprendere correttamente il concetto stesso. Devo ammettere che anche io gesticolo moltissimo quando tengo i miei seminari e penso che farei una gran fatica a parlare se avessi le mani legate!
Il tema del linguaggio apre la porta a nuovi spunti di riflessione, su cui varrebbe la pena di soffermarsi a lungo. L’ora a mia disposizione, però, è finita e come promesso devo terminare.
Guardo Marco e gli sorrido. Lui sorride a sua volta e io, grazie ai miei neuroni, sorrido di nuovo.
Sul palco compaiono dei pannelli trasparenti, pareti alte che si posizionano in molte direzioni e che formano dei piccoli corridoi su cui si può camminare avanti e indietro fino a perdersi.
Siamo entrati nella sala degli specchi, quella che sdoppia le persone e confonde il nostro orientamento.
Dalla platea si sentono solo le voci, le nostre figure risultano inglobate in quella struttura che appare simile a un labirinto.
-Dove siamo? – chiedo a Marco dopo un po’.
-Nel nostro cervello – risponde lui con calma.
-Ti sento tranquillo. Ci manca qualcosa?
-Nulla, non ci manca nulla. Qui è tutto meraviglioso.
