7. Testa per andare e croce per partire

A Mia piaceva muoversi per la città con lo scooter, appoggiarsi al manubrio per farlo scendere dal cavalletto e poi partire verso i viali in direzione della scuola.

Nelle sere d’estate passava a prendere Giulia, la sua amica di sempre, e con lei girellava per le strade del centro; insieme ondeggiavano a zig-zag cantando le loro canzoni preferite mentre il vento portava le parole lontano dai pensieri in una danza di felicità immotivata.

Il più delle volte scorrazzava da sola in cerca di un ritmo interiore, come se l’asfalto percorso potesse scandire l’ordine delle sue sensazioni e archiviare, anche solo per qualche momento, l’irrequietezza della sua giovane età. Lo scooter diventava allora un mezzo animato, il destriero con cui oltrepassare i dossi del manto stradale e l’alleato fedele con cui affrontare le intemperie fino al raggiungimento di un posto sicuro. 

La prima volta che Mia trovò una monetina sul manubrio non ci fece caso, la mise in tasca e partì come se l’avesse presa per terra. Il motorino era parcheggiato davanti alla scuola, tra centinaia di altri motorini di ogni marca e modello.

Qualche giorno dopo ne scorse un’altra, rinvenne 50 centesimi sullo scooter che era parcheggiato davanti alla biblioteca del centro. Rimase interdetta per qualche secondo, poi prese la moneta e la guardò, come se quel disco di metallo dorato potesse in qualche modo raccontare il motivo per cui era finito lì.

Nel periodo successivo trovò spiccioli sul suo motorino in diverse circostanze: di fronte al supermercato, al cinema, a casa di Anna. Cominciò a pensare che non poteva essere un caso e ne parlò con Giulia.

– C’è qualcuno che ti segue! – Disse allarmata l’amica.

– Oppure c’è qualcuno che mi incontra- Ribatté Mia.

Non sapeva spiegare il perché, ma aveva la sensazione che in quel gesto non ci fosse alcun pericolo, come se il ritrovamento della moneta fosse semplicemente la celebrazione di un’allegra coincidenza.

Cominciò a guardarsi intorno tutte le volte che parcheggiava, si metteva con Giulia dietro la finestra del suo salotto e con lei fissava il motorino nella speranza di veder avvicinare qualcuno.

Non scorsero mai nessuno e il dilemma rimase irrisolto. Mia continuò a trovare monetine di tanto in tanto, con una cadenza talmente irregolare da non consentire di orientare il pensiero verso l’una o verso l’altra ipotesi. La vista inaspettata del centesimi sul manubrio era diventato un rito gentile che l’accompagnava senza invadenza nei mesi freddi di quell’anno scolastico.

Passò l’inverno tra compiti in classe, piogge e schizzi di fango sui jeans, finché un giorno di Aprile successe qualcosa. Durante l’ora di Storia qualcuno bussò alla porta: la vicepreside entrò e nel silenzio della classe si avvicinò alla professoressa Martini; le disse qualcosa sottovoce e poi uscirono insieme per non essere osservate. I ragazzi, incuriositi, rimasero in ascolto ma le due insegnanti bisbigliavano e nessuno riuscì a capire il senso del discorso. Quelli più vicini alla porta riferirono di aver sentito parole come ‘capisco’ e ’procedo subito’; qualcuno disse di aver distintamente udito la domanda ‘ non torna più?’, alla quale però non era seguita alcuna risposta.

Quando la Martini rientrò, erano tutti in attesa.

La professoressa andò verso la cattedra e disse poche parole: – Greg, i tuoi genitori sono venuti a prenderti e devi uscire-.

Greg si alzò, senza capire che cosa stesse succedendo. Mise le sue cose nello zaino, prese il giubbotto  e si avviò verso la porta.

Mia, che aveva il banco vicino alla finestra, guardò di sotto, in direzione del cancello. Vide Libero appoggiato su un’ auto che non conosceva, all’interno della quale c’era un uomo che sembrava un autista. Pochi minuti dopo arrivarono Adele e Greg, usciti dal portone della scuola.

Si dissero qualcosa ed entrarono nell’auto, poi partirono e li perse di vista.

Dopo l’ultima campanella, Mia corse a prendere il motorino e andò a casa di Anna.

-Ti aspettavo- Disse la donna.

– Dove sono andati?- Chiese Mia, senza nemmeno salutare.

– Libero ha vinto una cattedra all’università di Berkeley, è dovuto partire in fretta perché sono rimasti improvvisamente senza docente.

– Si trasferiscono là?- disse Mia con un filo di voce.

– Temo di sì- Rispose Anna. – Almeno per qualche anno, poi staremo a vedere-

Mia sentì un cedimento alle gambe e si lasciò cadere sul divano.

– Lo sapevi?- Riprese la ragazza dopo qualche minuto.

– No, l’ho saputo oggi come te-

Si avvicinò alla sedia a rotelle di Anna e si abbassò sulle ginocchia. Poi la abbracciò e pianse con lei.

– Come faremo senza di loro?-

– In qualche modo faremo- rispose Anna- Mi stavo preparando da tempo a questa eventualità perché Libero è un matematico di grande valore e deve seguire la sua strada. È giusto che sia così-

– E Greg, che mi dici di Greg?-

– Greg è giovane e si abituerà, ha tutta la vita davanti-.

Mia rimase in silenzio, mentre il suono delle ultime parole di Anna diventava, nella sua testa, il rumore di un tuono.

Nel tardo pomeriggio Mia tornò a casa. Pioveva forte e in motorino si bagnò completamente. Quando entrò in camera sua si affacciò alla finestra e vide gli avvolgibili abbassati della casa di Greg. Le prese un nodo alla gola, poi una fitta allo stomaco e un’ondata di calore innaturale, come se la punta di un cerino bruciasse ogni diramazione nervosa del suo corpo.

Si buttò sul letto e pianse di dolore. Poi pianse di rabbia e poi ancora di dolore, finché ebbe la sensazione di essere rimasta interamente vuota. Alla fine si addormentò, stordita e indifesa.

I primi giorni senza Greg furono feroci, Mia vagava per la città in cerca di un senso che potesse giustificare, ai suoi occhi, quella lontananza forzata. Il telefonino dell’amico risultava spento dal giorno della partenza, così come quelli di Libero e di Adele.

–  Hanno detto che chiameranno e chiameranno- Diceva Anna per consolarla. Ma la sua voce tradiva una malinconia senza conforto, come se i suoi pensieri fossero l’eco di un tormento diffuso che vagava senza trovare una parete in cui riflettere per poter tornare indietro.

Dopo quindici giorni, Mia decise di uscire con Giulia. Sarebbe passata a prenderla per fare un giro in centro, nella speranza di distrarsi e di fare, magari, qualche timida risata.

Salì contro voglia sul motorino e si avviò verso i viali della città. Lungo il percorso decise di fermarsi da Anna per un saluto, giusto il tempo di vedere come stava e di darle un abbraccio.

Mangiarono qualche cioccolatino insieme e uscì dal villino di Anna per rimettersi in cammino. Quando arrivò vicino allo scooter vide uno strano scintillio e trasalì: c’era una monetina sul manubrio.

Si girò d’istinto da una parte e dall’altra, mentre un brivido l’attraversava per intero.

– Pssss …Pssss – sentì dire da dentro un portone.

La ragazza si avvicinò ed entrò senza esitazione. Quello che vide fu esattamente quello che sperava di vedere: Greg la stava aspettando con le mani in tasca, appoggiato sul muro. 

La prese per un braccio e la baciò, senza darle il tempo di riflettere e di accettare quello che sarebbe rimasto, a lungo, il bacio più inaspettato della sua vita.

– Sono tornato per prendere le mie cose, nessuno sa che sono qui; riparto tra qualche ora.

– E Anna – Chiese Mia- Nemmeno lei sa che ci sei?-

– Anna lo sa, le ho chiesto io di non dirtelo-

– Ma perché tutti questi misteri? Che cosa siete andati a fare a Berkeley?-

– Non chiedermi nulla- disse il ragazzo- Ci sono delle cose che devo ancora capire. So che mio padre è diventato docente di Analisi Complessa e che per qualche tempo dobbiamo stare senza telefono. Ho provato a fare qualche domanda ma le risposte non mi hanno convinto. Ora devo scappare, mi faccio sentire quando posso. Non dire a nessuno che sono stato qui-

La prese per la vita e la baciò di nuovo, con una passione che Mia non conosceva e che la lasciò stordita per diversi giorni.

Greg si allontanò, lei salì sullo scooter e arrivò a casa di Giulia.

Fu una serata strana, fatta di alti e di bassi, di cori senza voce e di voci gridate nel vento dalla sella del motorino. Fu una serata come sono le sere di Maggio, quando i pensieri si fondono ai brividi sotto la pelle e insieme approdano nell’abisso inesplorato della profondità.

Mia non sapeva se poteva essere immensamente felice o seppure doveva restare immensamente triste. Indugiava a metà strada tra queste condizioni inconciliabili, constatando di essere tremendamente confusa.

 

Scese la notte nel cuore di Mia

parole ingoiate e nessuna allegria;

sentiva nel pianto una voce segreta,

piangeva il ricordo della sua moneta.

Non seppe se essere donna o bambina

grande, indifesa, forte o piccina.

Pensò che il momento per essere adulti

è al centro del cerchio di mille tumulti;

Sentì che si cresce sentendo il dolore

del vuoto che lascia chi ci ha dato amore.

 

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