24. Le prime luci dell’alba

Il 25 gennaio Anna e Sauro si svegliarono presto, con le prime luci dell’alba.

-Come hai dormito? – chiese lui.

-Così così, ero un po’ agitata. Non vedo l’ora di arrivare a Verbania, finalmente siamo in fondo a questa storia.

-Vedrai che andrà tutto bene, sono sicuro.

-Sauro senti… prima di partire voglio ringraziarti. Senza il tuo aiuto non ce l’avrei fatta.

Lui si avvicinò, si abbassò sulle gambe per arrivare all’altezza della sedia a rotelle e le scostò i capelli dalla fronte.

-Sei così forte Anna, così determinata. Sono io che ti ringrazio, con il tuo perdono mi hai dato una seconda vita.

Lei sorrise e non aggiunse altro. Inclinò la testa per assecondare il movimento della sua mano e per lasciarsi accarezzare. Si guardò intorno e fece un sospiro, voleva osservare ancora una volta l’ambiente che l’aveva ospitata nell’ultimo mese, da quando aveva lasciato Siena. Ripercorse quel periodo e si sentì struggere dentro: pur nella difficoltà della circostanza, in quel posto si era sentita a casa. Ricordò la mattina del 22 dicembre, quando era partita con la scusa di andare alle terme. Aveva salutato Mia e aveva sentito una stretta al cuore; sapeva che di lì a poco la ragazza avrebbe ricevuto la notizia del suo incidente e lei non poteva fare altro che aspettare, aggrapparsi alla speranza che tutto andasse per il verso giusto.

Una volta uscita dal villino, aveva preso la macchina e aveva fatto qualche chilometro in direzione di Firenze; aveva deviato all’altezza di Monteriggioni ed era entrata in una strada secondaria dove aveva incontrato Sauro che la aspettava davanti al cancello di una proprietà privata. Si era immessa nella tenuta e aveva lasciato l’auto nel fienile, secondo gli accordi che lui aveva preso con il proprietario; da lì avevano proseguito insieme. 

Anna ripensò a quei momenti del viaggio, quando la sua vista spaziava confusa sul panorama e tutto scorreva veloce fuori dal finestrino.

Prima di arrivare a Firenze imboccarono l’autostrada A1 verso Bologna.

-Sei sicuro che sia un posto sicuro? 

-Fidati, d’inverno è praticamente disabitato. 

-Non c’è proprio nessuno? 

-Un paio di persone, ma possiamo contare su di loro.

Anna fece un sorriso malinconico, non sapeva immaginare che cosa sarebbe successo nei giorni a seguire e aveva addosso uno strano senso di angoscia. Che cosa avrebbe fatto se Mia e Greg non avessero trovato le lettere da spedire? Non c’era alternativa al piano che aveva progettato con Sauro, non c’era un’altra soluzione per liberare suo fratello dalla responsabilità del quaderno che aveva trovato e per unire di nuovo la famiglia. 

Uscirono a Pian del Voglio e si addentrarono nelle strade tortuose dell’Appennino; la vegetazione sembrava assopita per la stagione invernale e gli alberi spogli raccontavano storie malinconiche di freddo e di nebbia. Nulla faceva presagire che di lì a pochi mesi, tutto sarebbe diventato verde e traboccante di vita.

Oltrepassarono diversi paesi e giunsero, dopo qualche chilometro, a un agglomerato di case. 

-Villa di Cedrecchia – lesse Anna sul cartello stradale – siamo arrivati?

-Sì – confermò Sauro mentre fermava l’auto – siamo arrivati.

Il poliziotto scese dalla macchina e tirò fuori la sedia a rotelle. Le aprì lo sportello e la fece accomodare, poi le mise un pile sulle gambe e cercò le chiavi per entrare in casa. 

-C’è caldo! – Esclamò la donna nel salone.

-Ho chiesto ai miei amici di accendere il riscaldamento- spiegò Sauro.

-Mi sento già sollevata – aggiunse lei riconoscente.

Dopo aver aiutato Anna a sistemare le sue cose, Sauro tornò a Siena per qualche ora. Si recò alla Centrale di Polizia e chiese un periodo di ferie, poi fece un lungo respiro e si diresse da Mia per avvisarla dell’incidente. 

Fu la cosa più difficile che avesse mai fatto, assistere alla sua disperazione senza poterla consolare. Lui e Anna si erano interrogati a lungo sull’opportunità di sottoporre Mia a una notizia così crudele, ma alla fine aveva prevalso la necessità di tenere la ragazza fuori da ogni informazione sul quaderno. Messi alle strette dalle scoperte che Sauro aveva fatto in Centrale nell’ultimo periodo, erano giunti alla conclusione che Anna dovesse partire e portare con sé il fascicolo di formule; nessuno doveva essere a conoscenza della sua destinazione. Se Mia avesse saputo qualcosa, sarebbe certamente stata in pericolo: qualcuno avrebbe potuto ricattarla o, peggio ancora, farle del male. L’unica via d’uscita era allontanarsi e trovare il modo di far arrivare Greg a Siena; i due ragazzi insieme avrebbero trovato gli indizi per venire a capo della situazione. Così Anna e Sauro decisero di procedere, di telefonare a Greg a nome della polizia e di nascondere le lettere nel quadro in soffitta, lasciando appesa in salotto la copia che il nonno di Anna aveva fatto realizzare decine di anni prima.

Quel giorno Sauro portò a termine il piano, lasciando Mia nel buio del dolore.  

Quando tornò a Villa di Cedrecchia, la sera del 22 dicembre, l’uomo era molto provato. Anna lo accolse con un abbraccio, parlarono a lungo e a loro modo pregarono, ciascuno con le sue parole e con il suo interlocutore.

Da quel momento, tutto fu stranamente semplice e confortevole. Le giornate scorsero veloci, il silenzio di quel posto isolato accompagnò i pensieri di Anna e li cullò nel ritmo lento dell’inverno. Lontano dalla città, ogni cosa trovò la giusta prospettiva e lei cominciò, piano piano, ad assaporare l’aria pulita dell’ottimismo. Man mano che i giorni passavano, diventò sempre più netta la sensazione di avvicinarsi a una soluzione. In quel periodo, ripensando a tutto, Anna maturò la rara convinzione di aver preso la decisione giusta al momento giusto, sentiva forte e chiaro che se avesse aspettato ancora, la situazione per Libero sarebbe degenerata.

Così passarono diversi giorni e diverse notti; nelle ore del mattino Sauro la accompagnava in lunghe passeggiate per la strada asfaltata che girava intorno alla montagna, nel pomeriggio leggevano e guardavano vecchi film; facevano tutto insieme e non si stancavano mai di parlare. Erano in quel posto con l’unico scopo di aspettare che succedesse qualcosa; lontano da tutto attendevano un segno, una notizia, una stella che in qualche modo indicasse la via. 

La sera del 7 gennaio arrivò la svolta. Alle 19, mentre preparavano la cena, accesero la televisione e sentirono il gazzettino di Canale Italia: la strategia per fissare l’appuntamento a Verbania era incredibilmente riuscita. Fecero insieme un urlo di gioia, nessuna notizia poteva sembrargli più bella.

-Ce l’hanno fatta, ce l’hanno fatta! – Esclamò Anna riferendosi a Mia e a Greg – hanno risolto l’anagramma, sono arrivati in soffitta e hanno trovato le lettere!

Sauro si abbassò e la abbracciò forte.

-Tu ce l’hai fatta, sei stata prodigiosa!

Lei ricambiò l’abbraccio ed esplose in un pianto liberatorio fortissimo, poi si asciugò gli occhi e aggiunse:

-Hai dello champagne?

-Macché, ho solo della grappa e dell’amaro. 

-Vada per la grappa. Ma dammene poca perché sono astemia.

Bevvero e risero tutta la sera, finché il buio fuori diventò compatto e totale. Sbronzi e felici crollarono sul divano, con il fuoco che scoppiettava nel caminetto. In molti nella vallata quella notte dormirono, ma nessuno dormì meglio di loro; erano pronti a tornare alla loro vita di sempre.

Il 25 gennaio, alle prime ore dell’alba, Mia prese la macchina e andò all’aeroporto di Pisa.

Una volta finite le vacanze natalizie, Greg era tornato a Vienna e aveva ricominciato le sue lezioni all’Università.

Si erano salutati con un abbraccio e un sottofondo di malinconia, smorzato dalla certezza che di lì a poco si sarebbero rivisti.

-Giurami che questa volta torni – aveva detto lei.

-Solennemente giuro, non desidero altro che stare con te.

-Esagerato! 

Greg era partito e lei aveva ripreso a lavorare all’ospedale, con le visite ai pazienti e i turni in sala operatoria. Si sentivano la sera, si vedevano su Skype e si raccontavano ogni cosa delle loro giornate; il mese di gennaio parve a entrambi incredibilmente lungo. 

Quando Greg scese dall’aereo, il 25 mattina, Mia tirò un sospiro di sollievo. 

Lui si avvicinò e le dette un bacio, lei lo strinse forte e lo prese per mano.

-Andiamo, non c’è tempo da perdere.

Salirono in macchina e si incamminarono verso il Lago Maggiore; di lì a qualche ora sarebbero arrivati a Verbania.

Un altro aereo atterrò quel giorno, in perfetto orario, nell’aeroporto di Malpensa. Era un velivolo proveniente da Lisbona, aveva viaggiato di notte sorvolando il mare e le luci dorate delle città; nella quiete della lontananza aveva regalato ai pochi passeggeri svegli panorami da sogno. Una volta raggiunto il suolo, il pilota fece uscire la scaletta e le persone cominciarono a scendere. Tra loro Libero e Adele, infagottati in lunghe sciarpe di lana, reggevano una valigia e si tenevano a braccetto.

-Siamo in Italia! – Disse lei commossa mentre respirava l’aria della nebbia.

-Non è ancora giorno – aggiunse lui con un tocco di malinconia. 

Come no, guarda laggiù.

Dall’alto del ballatoio, Libero seguì la direzione indicata dalla mano di Adele e si voltò: il cielo appariva come una calotta scura in cui progressivamente si faceva strada un timido bagliore striato di bianco e di rosso. Erano le prime luci dell’alba. 

Fecero colazione e andarono a prendere l’autobus. Il cappuccino del bar dell’aeroporto gli parve il migliore che avessero mai assaporato. 

Alle 12, tutti i membri della famiglia Martinelli erano giunti a Verbania.

Ciascuno con i propri mezzi arrivarono al grand Hotel Majestic, dove trovarono una gran moltitudine di persone.

-Permesso…Permesso…- disse Libero mentre cercava di entrare nella Hall.

-È Martinelli! – disse qualcuno nella folla.

-Martinelli aspetti…risponda a una domanda! – Esclamò un uomo col microfono.

A fatica Libero e la moglie riuscirono a passare, senza dire alcunché. Si recarono alla reception e presero la chiave della stanza che avevano prenotato. Aprirono e si gettarono sul letto, stupiti ed esausti. Libero si arrotolò le maniche e si mise le mani nei capelli, Adele accarezzò l’idea di essere celebre come Audrey Hepburn e si sentì lusingata. Per fortuna si era ricordata di prendere il cappello con la tesa verde che aveva comprato a Lisbona: risultava perfetto per la circostanza. 

Un quarto d’ora dopo arrivarono all’albergo Anna e Sauro; oltrepassarono la folla e andarono all’accoglienza; un fattorino prese le valigie e li accompagnò nelle loro camere.

-Vado a sistemare le mie cose – disse il poliziotto dopo averla fatta entrare – Sono qui accanto, per qualsiasi cosa chiama.

-Ok – rispose lei – ci vediamo dopo.

Anna chiuse la porta e si avvicinò alla valigia. Stava per estrarre il beauty case  quando, dal corridoio, sentì un rumore di passi. Per una strana forma di presentimento trattenne il respiro e ascoltò la donna che parlava: era la voce di Mia. Non ebbe il tempo di chiedersi che cosa fare, se fosse meglio palesarsi o semplicemente attendere l’inizio del convegno, d’istinto aprì la porta e pronunciò il suo nome.

La ragazza si precipitò da lei, lasciò cadere la borsa e si piegò per appoggiare il viso sulle sue gambe. 

Anna le accarezzò i capelli, poi avvicinò la guancia sulla sua testa piegata.

-Ce l’hai fatta bambina mia.

Mia si mise a piangere e a ridere, sghignazzava e singhiozzava senza riuscire a fermarsi.  

-Mi sei mancata tanto, non morire mai più! 

-Cercherò di organizzarmi – rispose lei sorridendo.

La voce di Greg si intromise arrivando da dietro:

-Zia!

Anna alzò gli occhi e vide il nipote. 

-Greg! Vieni qui, fatti guardare!

Il ragazzo si unì all’abbraccio. Dopo tanti anni, in quell’albergo sul Lago Maggiore finalmente prese vita un sogno: erano di nuovo tutti e tre insieme.

-Hai notizie di tuo padre?

Anna aveva pensato a Libero tutti i giorni da quando lui era partito, si era immaginata l’angoscia dell’indecisione, il disagio della lontananza, il tormento della responsabilità. Da allora aveva una sola cosa nella testa: voleva rivedere suo fratello.

-Ho notizie fresche fresche – rispose Greg – è nella stanza 203.

-Portami da lui.

Quando Anna e Libero si rividero, stettero zitti per qualche minuto.

Continuavano a guardarsi, mentre i loro occhi si tingevano di mille espressioni. Fu uno sguardo dell’intensità di un terremoto, un cerchio pieno di colori che diventava bianco a forza di girare.

C’erano dentro i discorsi che facevano da bambini, le passeggiate nel parco, lui che le teneva la mano all’ospedale e lei che lo abbracciava quando aveva saputo di diventare padre. C’erano la protezione e l’intesa, la naturalezza e la diversità, l’alleanza e la fiducia. In quello sguardo c’era tutto: la loro vita e la loro essenza; la ragione di ogni cosa, l’intero senso della storia.

-Non riesco a trovare i verbi che ora occorrono – disse lui colto dalla sorpresa e dall’emozione.

-Essere felici può bastare – rispose lei col nodo nella gola.

-Sì, sono immensamente felice.

Anna notò che Libero era invecchiato, adesso era un bell’uomo con i capelli brizzolati, aveva l’espressione matura e gli occhi contornati da una raggiera di piccole rughe armoniose. Libero, come al solito, non notò niente; per lui Anna era il postulato alla base di un’intera teoria: ferma, eterna e indimostrabile. 

Tutti si salutarono con affetto e immensa gioia, Adele abbracciò Anna e Mia, Sauro venne chiamato per le presentazioni. 

Di lì a poco sarebbe iniziata la conferenza; nella sala Toscanini, al piano di sotto, stavano affluendo matematici e giornalisti provenienti da tutto il mondo. 

La famiglia Martinelli era unita e nessuno poteva dividerla di nuovo. Anna era pronta, Libero era pronto. Il quaderno di Riemann era nel giubbotto antiproiettile di Sauro e non poteva essere in un posto migliore. 


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