La prima soglia dell’infinito
In un libro di recente pubblicazione ho trovato questa dimostrazione senza parole.
Mi è piaciuta così tanto che ho deciso di scriverci un articolo sperando di non togliere, con il mio parlato, la poesia dell’immaginazione.
In effetti, uno degli aspetti che più mi ha conquistato di questa spiegazione è stato il progressivo affaccendarsi del mio pensiero per trovare dei vocaboli che giustificassero quanto vedevo, mentre la logica del ragionamento si fondeva ora con l’intuizione e ora con la memoria di concetti già miei, alla ricerca di un senso.
Quando cerchiamo di capire qualcosa, il nostro cervello fa un discreto sforzo. Senza che ce ne accorgiamo elabora, vaglia e filtra continuamente una serie di possibilità con lo scopo di inserire le nuove informazioni in una mappa che risulti coerente con le nostre conoscenze pregresse. Quanto più i nostri saperi sono strutturati e connessi, tanto più riusciamo a saltare per afferrare qualcosa di nuovo.
Nella dimostrazione illustrata in figura, si argomenta su qualcosa di smisuratamente grande, così vasto da risultare inimmaginabile e che, proprio grazie alla sua sfuggevolezza, risulta massimamente affascinante.
Lo scopo di questo articolo, per chi ha voglia di continuare nella lettura, è quello di fornire degli strumenti utili alla comprensione o almeno, se l’impresa appare troppo impegnativa, accendere una semplice scintilla di curiosità sull’argomento.
Nessuno può sapere dove finiscono i piccoli fuochi che ci nascono dentro, personalmente penso che valga sempre la pena di ospitarli sperando che si trasformino in falò e dunque in emozioni.
Iniziamo dunque il nostro piccolo viaggio verso l’infinito, consapevoli del fatto che per raggiungere una meta tanto lontana abbiamo a disposizione un unico mezzo di trasporto: il nostro cervello.
Un modo efficace di intravedere l’infinito è quello di contare, un’operazione che tutti facciamo con naturalezza per esprimere una certa quantità di oggetti.
Contiamo tre penne sul tavolo, venti bambini al parco, sei milioni di libri nella Biblioteca Nazionale e quattrocento miliardi di stelle nella Via Lattea: rappresentiamo la proprietà di un certo insieme per descriverne la grandezza.
I numeri che utilizziamo a questo scopo sono numeri Naturali, gli interi positivi che elenchiamo quando alziamo le dita delle mani per conteggiare oggetti alla nostra portata. Aggiungiamo uno e procediamo nella successione mentre scandiamo i nomi delle cifre: pronunciamo quattro invece di dire ‘uno più uno più uno più uno’, sei al posto di ‘uno più uno più uno più uno più uno più uno’ e 10 quando il numero di uno che sommiamo corrisponde a tutte le dita delle nostre mani.
Dopo, se è necessario, semplicemente ricominciamo il giro delle dita mentre elenchiamo quantità sempre più grandi.
Tuttavia, nel mondo abbiamo più numeri che dita e se anche decidessimo di farle alzare ripetutamente a tutti gli abitanti del pianeta per contare tutto ciò che esiste, rimarrebbe la possibilità di aggiungere qualcosa in virtù del fatto che non c’è un numero più grande di tutti.
Proprio questa, l’illimitata possibilità di aggiungere, è il primo spiraglio di infinito che riusciamo a cogliere; un’opportunità che abbiamo conosciuto nel concreto delle operazioni e che dobbiamo estendere oltre le nostre possibilità di comprensione; così smisurata nelle sue sfaccettature da richiamare Dio.
Godetevi questo passaggio, perché con un balzo siamo passati dalla Matematica alla spiritualità, a conferma del fatto che il nostro cervello si nutre di sensazioni emotive oltre che di pensieri logici, anche quando l’argomento è decisamente razionale.
È probabile che proprio l’infinità di Dio, così come era rappresentata nella Cabala, abbia condizionato l’immaginazione di Georg Cantor, il matematico di origini ebraiche che alla fine del IX secolo rivoluzionò il concetto di infinito per portarlo, dall’estrema lontananza, a una presenza reale.
Cantor fondava la sua idea su un concetto tutto sommato semplice, quello di corrispondenza uno a uno tra gli elementi di insiemi diversi.
Facciamo un esempio e immaginiamo di entrare in un bar dove ha preso il caffè un certo gruppo di persone, appena uscite dal locale. Vediamo sul tavolo tante tazzine e tanti cucchiaini, ma per sapere se sono in egual numero non abbiamo bisogno di contarli: se ogni cucchiaino è affiancato a una tazzina, sappiamo a priori che sono esattamente della stessa quantità. Se invece, dopo tutti gli accoppiamenti, rimane una tazzina senza cucchiaino, significa che l’insieme delle tazzine è più numeroso di quello dei cucchiaini.
Se lo stesso tipo di corrispondenza uno a uno, esattamente come quella tra tazzine e cucchiaini, può essere stabilita tra un insieme qualunque e quello dei numeri Naturali, quell’insieme viene detto numerabile: i suoi elementi sono tanti quanti sono i Numeri Naturali (ovviamente si tratta di un insieme infinito) e per questo li possiamo enumerare.
Fin qui ci sembra tutto abbastanza comprensibile. Abbiamo chiaro nella nostra testa il legame tra tazzine e cucchiaini e non incontriamo troppe difficoltà a pensare che se avessimo un numero infinito di tazzine, queste potrebbero essere messe in corrispondenza uno a uno con i numeri che usiamo per contare.
Basta a definire l’infinito? Ovviamente no. Così come si può stabilire, all’ingresso del bar, che le tazzine sono tante quanti sono i cucchiaini senza ricorrere alla necessità di contarli, allo stesso modo Cantor fornisce un metodo per decidere se un insieme è infinito senza dover elencare tutti gli elementi e senza richiamare l’idea di un procedimento senza fine.
La definizione di Cantor, bella e destabilizzante, è riportata qui sotto. Leggetela con calma e prendetevi il tempo di increspare la fronte mentre cercate di comprenderla. Ogni ruga è sopportabile, se deriva da un pensiero.
UN INSIEME È INFINITO SE È POSSIBILE METTERLO IN CORRISPONDENZA UNO A UNO CON UN SUO SOTTOINSIEME.
Se siete stati colti da un improvviso senso di smarrimento, siete certamente in buona compagnia.
Tra le nostre convinzioni, c’è il fatto che un insieme ha più elementi di ogni suo sottoinsieme; come fanno allora i due ad essere legati da una corrispondenza uno a uno? Evidentemente, negli insiemi infiniti accadono cose che noi, abituati a maneggiare oggetti di dimensioni finite, facciamo fatica a cogliere.
Facciamo un esempio per capire come possa essere fatta una relazione di questo tipo.
Creiamo una corrispondenza che associa a tutti i numeri naturali i soli numeri pari.
Per farlo, utilizziamo un procedimento che prende ogni numero naturale e semplicemente lo raddoppia.
Si tratta evidentemente di una corrispondenza uno a uno perché ciascun numero naturale viene mandato in un elemento diverso e, allo stesso tempo, nessun numero naturale rimane inutilizzato.
Ecco dunque un primo sorprendente risultato: nel mare dell’infinito, i concetti di grande e di piccolo assumono un altro significato: il legame “uno a uno” porta presto a dire che gli elementi dei due insiemi sono “tanti, quanti” purché si tratti di infiniti della stessa specie, che in questo articolo corrisponde a quella della numerabilità.
Questa considerazione apre nuovi scenari sulle operazioni che normalmente utilizziamo. Se indichiamo con N l’infinito dei numeri naturali, avremo per esempio che
N + 1 = N
Il che significa che se aggiungiamo 1 all’infinità dei numeri naturali, otteniamo ancora la stessa infinità. Similmente possiamo aggiungere a N un numero n qualsiasi:
N + n = N
O addirittura tutto se stesso:
N + N = N
Se avessimo letto queste relazioni fuori contesto, le avremmo giudicate inverosimili perché contravvengono alle leggi dell’algebra.
Anche con la moltiplicazione succedono cose irragionevoli, non usciamo da N se lo moltiplichiamo per un qualsiasi intero positivo
N x n = N
e nemmeno per se stesso:
N x N = N
Dunque infinite volte infinito, che è rappresentato dalla scritta N x N, non è più grande di infinito, come invece avremmo potuto pensare di primo acchito.
Infinite volte infinito è ancora lo stesso infinito.
Proprio questo è il risultato che vogliamo dimostrare e adesso abbiamo le parole per farlo.
Riprendiamo dunque l’immagine da cui siamo partiti.
Abbiamo capito che per provare che “infinite volte infinito” ha la stessa numerosità “una volta infinito”, cioè dei numeri Naturali, occorre stabilire con questo una corrispondenza uno a uno.
Di fatto, dovremmo trovare il modo di mettere in fila i termini di una tabella che ha infinite righe e infinite colonne, in modo da associare a ogni elemento della sequenza un numero naturale.
Con un nastro immaginario, percorriamo la tabella in diagonale, avendo cura di coprire ogni elemento. Come sono belli i nastri! Volteggiano e assumono la forma dell’aria. Il nostro nastro è liscio e luminoso, accarezza ogni elemento e lo trattiene a sé. Ci accertiamo di aver compreso come si dispone e poi… ZAC! Lo stendiamo con mossa repentina.
I nostri occhi adesso sono tutti su di lui, ha in mano gli elementi della tabella e anche la nostra fantasia.
Eccoli lì i bottoni di “infinite volte infinito”: diritti, fieri e allineati, pronti a farsi enumerare.
Non somigliano, forse, alle infinite tazzine che avevamo abbinato con i numeri Naturali?
Sembrerebbe proprio di sì. Il mondo dell’infinito non distingue gli oggetti, semplicemente li accoglie.
Si dice che quello di Cantor sia un infinito di tipo attuale, possibile da comprendere, interamente posseduto. Noi l’abbiamo acchiappato con un nastro, a dimostrazione del fatto che in nastri catturano più delle catene.
Se siete ancora qui, a scorrere le parole sullo schermo, avete dimostrato resistenza e fantasia. Siete arrivati in fondo al viaggio e avete varcato la prima soglia dell’infinito.
Si potrebbe aggiungere che questo è l’infinito meno numeroso e che altri si sviluppano su livelli diversi come i cerchi concentrici di un tempio divino.
Noi oggi ci fermiamo qui, solitamente i viaggi di questo tipo consumano le suole dei neuroni. Potete finalmente stendere la fronte e increspare le labbra: ogni ruga è sopportabile, se proviene da un sorriso.