Le funi annodate della vita
L’evoluzione di un concetto matematico ha l’andamento del volo: la ricerca prende vita dall’esigenza di spiegare una realtà fisica, stacca i piedi da terra e viaggia per un tempo più o meno lungo nel regno dell’astrazione; poi scende e torna a descrivere casi concreti, talvolta diversi da quelli per cui aveva aperto le ali.
Così accadde quando Lord Kelvin avanzò l’ipotesi che gli atomi fossero dei piccolissimi tubi di etere annodati e che la varietà dei nodi determinasse l’assortimento di elementi chimici presenti in natura. Era la fine del XIX secolo e Lord Kelvin chiese aiuto a Peter Tait, fisico e matematico, che iniziò a classificare il numero degli incroci che si potevano realizzare.
Prese avvio così lo studio dei nodi che per più di un secolo ha impegnato la mente e la fantasia di diversi studiosi. Lacci, trecce, corde aggrovigliate; si studiavano le relazioni di figure tridimensionali rappresentate dalle loro ombre come scarabocchi sul piano.
La teoria di Kelvin si rivelò presto sbagliata, oggi sappiamo che un atomo è composto da elettroni che orbitano attorno a un nucleo, ma le proprietà dei nodi avevano nel frattempo acquisito un loro margine d’interesse, ben lontano dall’indagine sulla materia per la quale erano state introdotte. Erano diventate idee astratte, viaggiavano nella testa di chi riusciva a immaginare le forme di una fune annodata in più punti e poi chiusa ad anello in un tripudio di curve; vagavano nel pensiero di chi sapeva vedere le disposizioni degli incroci e prendevano vita nel miraggio di catturare l’essenza di un’ombra.
Nel XX secolo, dopo anni di peregrinazioni teoriche, i sogni astratti di tanti scienziati hanno fornito la più concreta delle scoperte: la teoria dei nodi ha trovato applicazione nella descrizione del DNA e nei processi che riguardano le molecole della vita.
Così la navicella del pensiero ha compiuto il suo moto parabolico ed è planata a terra, dopo che per un secolo ha slittato sull’aria.
Non ci è dato di sapere che cosa sia successo nella fase del viaggio. Qualche cronaca dei sopravvissuti, poche lettere scritte con l’inchiostro delle idee.
E poi lo sguardo di chi ha visto mondi che non sa raccontare, visi distratti da qualcosa, occhi che osservano di lato perché c’è un altro centro da guardare.