17. L’ago nel pagliaio

Il giorno dopo aver trovato la foto con i numeri e i documenti del quattordicesimo secolo, Bianca ed Egle si incontrarono di nuovo.

Avevano fissato di vedersi a case di Egle e di Nina per confrontarsi sugli ultimi eventi accaduti. Il piano per smascherare l’uomo che le stava seguendo non aveva ancora prodotto alcun risultato ma nuove importanti informazioni erano emerse sulla loro vicenda e sentivano il bisogno di metterle insieme, coordinando le recenti scoperte con i dati già in loro possesso.

Bianca arrivò da Egle intorno alle 19, dopo la giornata di lavoro. Alvise non era ancora rientrato dalla trasferta in Garfagnana e lei si curava di ogni incombenza, tra cui l’apertura e la chiusura del laboratorio.

Salì le scale ed entrò nell’appartamento, aperto dopo il suono del campanello; appese il giubbotto all’attaccapanni e si sfilò le scarpe come se fosse a casa sua.

La confidenza che avevano raggiunto consentiva ormai di saltare ogni convenevole, avevano entrambe l’impressione di essere insieme anche quando erano separate, legate dalle parole dei pensieri. Tutto quello che facevano era il contorno di un flusso interiore che metteva insieme ritrovamenti e spiegazioni: la mente indagava mentre il corpo, distratto, si adoperava nei gesti di sempre.

– Tè o caffè? – sentì gridare dalla cucina.

– Tè, grazie – rispose mentre si avviava nella stanza.

Egle accese il bollitore.

– Hai fatto caso se qualcuno ti seguiva? – disse mentre si sedevano.

– Sì, ma non mi è parso di vedere nessuno. Certo nel buio si distingue male.

L’acqua non aveva ancora cominciato a bollire, quando sentirono il rumore delle chiavi nella toppa della porta.

– Nina! – esclamarono insieme.

Si alzarono verso l’ingresso e la videro comparire, carica di borse e di valigie.

– Che accoglienza! – disse lei trovandole alla porta.

– Ben tornata – affermarono con enfasi.

– Stavamo per prendere il tè – aggiunse Bianca.

– Mettete una tazza anche per me. Ho portato il cioccolato da Lima e dei biscotti dallo scalo di Francoforte. Se avete bisogno di calorie, ho quello che fa per voi.

Egle e Bianca annuirono.

– Direi che ne abbiamo bisogno – commentò Egle – tira fuori tutto e mettiti comoda, ti aspettiamo.

– Faccio in un attimo.

Qualche minuto dopo, Nina arrivò in cucina. Stava infilandosi una felpa col collo slargato, in stile con i pantaloni scoloriti di una tuta blu.

– Come è bello tornare a casa – disse soddisfatta – mi sento più elegante di una regina.

– Lo sei – commentò Egle guardandola da testa a piedi – non hai nemmeno un calzino bucato.

Si accomodarono al tavolo e cominciarono a parlare, mentre il tè fumava nelle tazze davanti a loro e il cioccolato, pezzo dopo pezzo, scompariva.

Egle e Bianca informarono Nina di quanto era successo, del ritrovamento dell’articolo di giornale nell’incavo del muro in bottega e della foto che avevano rinvenuto a casa di Egle e di Franz il giorno prima.

Le mostrarono l’immagine e commentarono le scritte, senza tuttavia riuscire ad aggiungere nulla rispetto alle considerazioni già fatte.

– Ci vorrebbe qualcuno che potesse aiutarci nell’interpretazione di questi documenti – considerò Egle – per noi sono difficili da comprendere.

Bianca le dette ragione mentre scuoteva la testa:

– Esatto. Io però non conosco nessuno specializzato sul medioevo.

Nina si intromise dimessamente.

– Io forse sì.

Le ragazze la guardarono di colpo.

– Ecco…non sono proprio sicura ma posso fare un tentativo.

Si alzò e andò a prendere il telefono. Cercò il numero in rubrica e fece partire la chiamata. Egle e Bianca la guardavano in silenzio. Ferme, come d’un tratto fu ferma l’aria intorno a loro, sospese tra l’attesa e la speranza, a metà strada tra il vapore delle tazze e la dimensione dell’ignoto.

– Nina, che piacere sentirti! – Esordì la voce dall’altra parte.

– Disturbo?

– Che dici…non disturbi mai.  

Lei sorrise e arrossì. Nonostante fossero passati diversi anni, la voce di Brando riusciva ancora a farla emozionare.

– Avrei bisogno di aiuto per una questione un po’ particolare che riguarda le mie amiche. Senza farla troppo lunga, stiamo cercando qualcuno che sappia interpretare dei documenti del 1335.

– Uno studioso di storia medievale, quindi?

– Sì, esatto.

– Conosco un professore universitario, Gino Scarpelli; gioca con me a scacchi e siamo abbastanza in confidenza. Lo chiamo subito, puoi darmi qualche informazione in più su quello che vi serve?

– Ti mando una foto dei documenti, ci sono dei numeri e delle scritte che per noi non hanno senso.

– Ok, gliela giro e ti faccio sapere quando risponde.

– Grazie Brando.

– Macché, per così poco.

– Aspetto notizie.

I due si salutarono e Nina Riagganciò. L’aria nella stanza riprese a muoversi e il vapore delle tazze tornò alla sua temperatura.

– Adesso non ci resta che attendere – commentò Egle.

– Possiamo anche rilassarci, può darsi che ci voglia qualche giorno.

Invece, di lì a pochi minuti, il telefono squillò.

– Pronto? – Nina mise il viva voce.

– Scarpelli è parso molto interessato. Dice se potete fissare un incontro.

– Dove potrebbe riceverci?

– Lui abita a Roma ma questa settimana va a Trieste per un convegno. Se volete potete incontrarvi lì, per voi è sicuramente più vicino.

Le ragazze si scambiarono un cenno di assenzo.

– Va benissimo; mandaci l’indirizzo, il giorno e l’ora: noi ci saremo.

– Procedo.

Dopo pochi minuti, arrivò la notifica dell’appuntamento:

– Giovedì prossimo a Trieste. Ore 15,45 al Salone degli Incanti, Riva Nazario Sauro, 1.

Nina rispose a quel messaggio con un semplice punto e aspettò che venisse visualizzato. Non ebbe dubbi sul fatto che Brando, vedendolo, avesse fatto un sorriso.

Con un po’ di fibrillazione finirono di prendere il tè, poi si salutarono e Bianca tornò a casa sua.

I due giorni successivi furono un monumento all’attesa. Egle fece un paio di tratte europee, Nina approfittò per rimettere la casa. Bianca terminò i suoi lavori a bottega cercando di tenere la mente lontana da Alvise. Avrebbe rivisto l’uomo lunedì e sentiva uno strano disagio; i dubbi che aveva su di lui la rendevano inquieta e sospettosa, non era sicura di riuscire a simulare un atteggiamento di normalità. L’appuntamento di Trieste le dava modo di tenere la mente lontana, proiettata su qualcosa che sarebbe successa altrove.

Decisero di andare in treno, sarebbero partite alle 9:39 e sarebbero arrivate prima di mezzo giorno. Una volta giunte a destinazione, avrebbero avuto tutto il tempo di mangiare con calma e di raggiungere il Salone degli Incanti per l’ora stabilita.

Quando finalmente arrivò giovedì, tutte e tre furono contente di partire.

Arrivarono a Trieste in orario e andarono a mangiare in viale XX settembre, al caffè Lettera Viva. Bianca c’era stata di recente e aveva un debole per quel posto che era insieme classico e moderno, intimo e diffusamente frequentato. La musica di sottofondo cullò il loro stato d’animo, offrendo l’impressione di essere tre amiche a Trieste in un giorno qualunque.

Una volta rifocillate, si misero in cammino verso la zona del Porto Vecchio. Era una bella giornata e decisero di andare a piedi, valutando che in meno di mezz’ora sarebbero giunte a destinazione. Il centro della città, maestoso e conciliante, le accolse come una signora d’altri tempi, con le maniere gentili di un’eleganza sincera. Le statue poste in cima ai palazzi offrirono il loro sguardo benevolo e le lasciarono passare offrendo assistenza dall’alto. Buone con i buoni, le presenze di pietra custodivano le strade e sentivano i pensieri dei passanti, tra gli sbuffi della Bora e i sospiri del mare.

Arrivarono al salone alle 15,35 e aspettarono qualche minuto prima di entrare; quando fu l’ora esatta si presentarono alla reception del congresso.

– Buon giorno, abbiamo un appuntamento con il Prof Scarpelli – disse Nina.

– Passate pure – rispose la signorina in divisa – è appena finito il suo intervento.

Poi guardò lo schedario delle postazioni e aggiunse:

– Lo trovate in prima fila, è il secondo a partire da destra.

Le tre ragazze oltrepassarono l’ingresso ed entrarono nella sala del convegno, un ambiente grande e pieno di persone disposte su filari di sedie rivolte verso il fondo della sala. Le luci abbassate mettevano in risalto la pedana degli oratori e lo schermo illuminato dalle slide, a fianco del quale un uomo sulla sessantina commentava al microfono dei codici medievali.

Passarono in silenzio a lato della stanza in direzione del palco. Man mano che camminava, Nina sbirciava tra gli uditori: per qualche secondo il suo sguardo si perse tra le facce concentrate e i blocchi di appunti appoggiati sui banchi pieghevoli. Rallentò con la tentazione di fermarsi e mescolarsi tra quegli studiosi, per il gusto di sapere com’era, ma Egle la tirò per un braccio e lei rinunciò all’idea, lasciando a un’altra volta la magia dell’occasione.

Come giunsero all’altezza della prima fila, Scarpelli si girò verso di loro. Sapeva che sarebbero arrivate, fece un cenno di saluto e andò a riceverle.

– Seguitemi – disse piano – ho riservato un salottino in cui possiamo parlare con tranquillità.

Fece strada e guidò le ragazze in un’area riservata, disposta per accogliere gli studiosi nei tempi morti del convegno.

Presero posto presso una scrivania, ai lati della quale erano collocate diverse poltroncine con l’imbottitura blu.

– Accomodatevi, prego.

– Grazie – Le ragazze si misero sedute.

– Chi di voi è Nina?

– Sono io, piacere – disse lei tendendo la mano.

– Piacere mio. Brando mi ha detto che è un’amica speciale, si è raccomandato di essere gentile – aggiunse con un sorriso.

Nina arrossì e ricambiò inclinando la testa con un gesto di ringraziamento.

Poi si presentarono anche Bianca ed Egle e finalmente cominciarono a parlare. Scarpelli entrò nell’argomento:

– So che vorreste comprendere il contenuto di alcuni documenti, ho ricevuto la foto.

– Esatto – rispose Egle – abbiamo qualche difficoltà a interpretare quei numeri.

– C’è anche una scritta, però.

– Già – confermò Bianca – In circulo veritas. Ultimamente la incontriamo spesso. Quella però almeno la capiamo, anche se non sappiamo a cosa si riferisca: la verità nel cerchio. Giusto?

–  Giusto. Il fatto è che la scritta e i numeri non sono scollegati.

– Ah no?

– No. Avete contato le lettere delle due parole circulo e veritas?

Le ragazze si misero a contare.

– Sette, sono entrambe sette.

– Sette, appunto, come il primo numero della lista.

Gli occhi di Egle, di Bianca e di Nina, colti dallo stupore, si fecero grandi e penetranti. Quel primo nesso tra le scritte dei documenti le fece sobbalzare.

– Continui, la prego.

– Dunque, i documenti parrebbero risalire al 1335, come dice la data riportata. Ora, secondo la tradizione della numerologia medievale, il numero 7 non è un numero qualsiasi, ma ha invece un alto valore simbolico: esprime la ragione e la saggezza e ancora di più, indica la conoscenza illuminata. Pensate per esempio alle sette Arti Liberali, ai sette doni dello Spirito Santo e ai sette Sacramenti: sette sono le lettere di VERITAS, il sacrario della verità. Ma c’è di più, questo numero, che indica la realizzazione intellettuale, oltrepassa l’ambito della numerologia e col suo significato richiama l’idea della forma perfetta: il cerchio.

Vedete, la trattazione medievale dell’estetica numerica lega la numerosità all’armonia e trova, nella figura circolare, la compiutezza della perfezione. Non è certo una novità: la prima definizione di armonia numerica risale a Pitagora, per il quale il numero è l’essenza di tutte le cose; suo è il motto ‘Tutto è numero’.  Ma forme e numeri, per Pitagora come per maestri medievali, sono inseparabili: i rapporti tra numeri, insieme alla rappresentazione geometrica, forniscono una chiave di lettura dell’Universo. La corrispondenza di Federico II con Leonardo Fibonacci nel XIII secolo è una prova di questa concezione che si esprime in significati esoterici; la sezione aurea, per esempio, è una costruzione che consente all’uomo di ammirare la bellezza della natura mediante l’accordo della proporzione. Da sempre il cerchio rappresenta una rivoluzione atemporale: ha in sé l’idea della continuità e del superamento senza fine; le sue caratteristiche di equilibrio generano l’eterno ritorno, per questo la figura circolare è l’archetipo del sacro.

Ed ecco che arriviamo ai numeri che compaiono nella vostra fotografia. In un cerchio di raggio 7, il diametro misura 14, la semicirconferenza 22 e l’area 44 e questi sono i numeri che compaiono sul vostro documento.

– Dunque quei numeri esprimono le misure del cerchio di raggio 7? – si intromise Bianca.

– Esattamente. Immagino che vi chiediate a cosa corrisponda il valore 22/7.

Le ragazze, concentrate su quello che Scarpelli stava spiegando, risposero con un filo di voce:

– Sì.

– Ebbene, 22/7 è il rapporto più famoso del mondo, è il valore che Archimede ha individuato per descrivere Pi greco.

– È una cosa importante? – chiese Nina senza sapere.

– Importantissima, perché chiama in causa l’incommensurabile, dunque il divino.

Egle fissava Scarpelli; ne guardava gli occhi e le mani, lo osservava gesticolare mentre si toccava il mento e faceva scorrere, col pollice, l’anello intorno all’anulare.

C’era in lui qualcosa di strano, un riverbero di luce nello sguardo che non sapeva inquadrare. Doveva capire di cosa si trattasse, dare una spiegazione a quelle vibrazioni inaspettate.

Bianca riprese la parola.

– Tutti questi numeri, riferiti al cerchio di raggio 7, che cosa potrebbero indicare? Ci sarà una lettura simbolica, immagino. Si riferiranno a qualcosa, non saranno mica fine a sé stessi…

– Esattamente – rispose lui – è proprio quello su cui dobbiamo indagare. Potrebbero esserci dietro cose molto interessanti. Documenti inediti, relazioni inesplorate, scoperte da fare. Certamente si riferiscono a qualcosa che qui non viene menzionata. Dove avete trovato questa foto?

– Dunque, è una storia lunga – cominciò Bianca – ci siamo insospettite quando …

Egle scattò e le toccò il braccio sotto la scrivania, lei comprese che si doveva fermare.

Abbassò gli occhi e vide che l’amica si era tolta le scarpe. Non ebbe dubbi sul perché l’avesse fatto, sapeva fin troppo bene che Egle leggeva il mondo attraverso la pianta dei piedi. La guardò in faccia e riconobbe una smorfia di disagio, quasi di disgusto, nascosta da un’espressione di apparente normalità.

Nina, che assisteva alla scena, iniziò a tossire. Aveva imparato a simulare gli attacchi di tosse da piccola, quando non sapeva rispondere alle domande della maestra, e adesso utilizzava quella dote come una competenza professionale.

– Mi scusi – disse mettendo la mano sullo sterno – avrei bisogno di un bicchiere d’acqua.

Scarpelli si alzò e andò alla macchinetta.

Quando tornò, Nina era adagiata sulla poltrona, Egle le toccava la fronte e Bianca contava i battiti del polso.

– Ha avuto un attacco d’asma – disse Egle – è meglio se andiamo.

– Vi accompagno – commentò Scarpelli.

– Non occorre, abbiamo chiamato un taxi. Grazie di tutto, è stato davvero gentile.

– Aspettate, dobbiamo ancora finire il discorso…

– Lo finiremo presto. Arrivederci.

Le tre ragazze uscirono, Nina in mezzo mentre le altre due la sostenevano ai lati. Salirono sul taxi e tirarono un sospiro di sollievo.

– Magistrale! – commentò Egle guardando Nina.

– Non ho mica capito che cosa è successo – confessò lei – ho visto che indicavi a Bianca di tacere e ho cercato il modo di interrompere la conversazione. Ma perché non volevi che parlasse? Eravamo lì proprio per quello…

– Appunto – aggiunse Bianca – perché?

– Scarpelli non era sincero – rispose lei – avrebbe usato il segreto per i suoi scopi, l’avrebbe rivelato per interesse personale. E Franz non avrebbe voluto, ne sono sicura.

Poi fece una pausa e aggiunse:

– Anche i miei genitori non avrebbero voluto. Non mi hanno messo al corrente di quello che sapevano, ma io non li voglio tradire.

– E adesso che facciamo?

– Non lo so, continuiamo a cercare.

Egle era scossa, come tutte le volte che scopriva qualcosa di oscuro attraverso le vibrazioni del suo corpo. Appoggiò la testa sul sedile del taxi e chiuse gli occhi.

– In certe persone c’è una parte di male – pensò triste.

Bianca le prese la mano. Stette zitta, dandole prova di aver compreso il suo stato d’animo. Nina, che era seduta accanto all’autista, si girò e accennò a un timido sorriso.

Il traffico fuori era aumentato e un vento leggero si era alzato dal mare. Le tre ragazze percorrevano il centro verso la stazione mentre le statue sui palazzi, guardandole andare, dettero il loro benevolo saluto.

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