23. Il mistero dell’arca
Bianca staccò il quadro dalla parete, lo portò in cucina e lo appoggiò sul tavolo. Era tornata la luce e poté guardarlo con attenzione, convinta che Franz avesse nascosto la lettera proprio lì dentro.
Stava per smontare la cornice quando di colpo si fermò e per qualche secondo rimase a pensare. Che cosa avrebbe fatto se l’avesse trovata? Non era giusto che la leggesse; quella lettera non era stata scritta per lei e non le apparteneva, averla tra le mani avrebbe solo aumentato la tentazione di aprirla.
Doveva avvisare Egle e attendere il suo arrivo prima di fare qualsiasi cosa. Rimise il quadro al suo posto e le mandò un messaggio senza alcuna premessa, neanche per chiederle come avesse passato la notte.
– Appena puoi vieni da me – scrisse concisa.
Egle comprese che doveva essere successo qualcosa, quindi suonò il campanello per chiamare l’infermiera.
– Devo andare via – disse appena la vide arrivare – può staccarmi la flebo?
– Non mi sembra proprio il caso. E poi le dimissioni devono essere autorizzate e il dottore e non è ancora passato…
– Sto bene, posso firmare il foglio per uscire.
– Attenda solo un attimo, vado a chiamare il medico.
Due minuti dopo, l’infermiera tornò insieme al primario.
– Cos’è tutta questa fretta? – disse lui entrando nella stanza.
– Mi perdoni – rispose Egle – ho un impegno urgente e non posso aspettare.
– Signorina, dall’inizio dell’anno è arrivata qui in codice rosso già due volte, e siamo solo a primavera.
– Mi creda, non succederà più.
Il dottore guardò la cartella clinica, poi le toccò il polso. Fortunatamente i valori erano tornati nella norma.
– Se vuole firmare non la posso trattenere ma mi raccomando, sia prudente: mangi, beva e si riposi.
– Lo farò.
Appena sottoscritta la liberatoria, Egle si vestì e uscì dall’ospedale. L’abito era sporco di sangue, non aveva il cappotto e si strinse nel maglione, fortunatamente lungo fino agli stivali. Ignorò il dolore che sentiva sotto le fasce del collo, desiderosa solo di arrivare.
Dopo poco suonò il campanello di Bianca ed entrò nel suo appartamento.
– Che cosa è successo? – chiese subito.
– Prima dimmi come stai – anticipò Bianca – sei un po’ pallida.
– Io sono pallida per natura, lo sono sempre stata. Piuttosto raccontami le novità.
Bianca rispose indicando il quadro con l’arca:
– Guarda qui.
– È il dipinto di Franz, ne avevamo già parlato.
– Esatto, e avevamo notato che la parola arca è presente nel vostro cognome, come in quello dei vostri antenati; nel tempo l’hanno cambiato ma hanno conservato tutti la stessa radice. Fino a ieri sapevamo solo questo; oggi invece sappiamo qualcosa di più, che la frase dietro il quadro con i cerchi è di Petrarca.
Bianca ripeté il nome con enfasi.
– Capisci cosa intendo? Petrarca!
– Oh mio Dio – Egle fu colta dallo stupore – dici che…insomma sì…potrebbe darsi che…
– Io dico che non può essere un caso. Sarebbe una coincidenza troppo grande. Ricordi la data del documento nella foto? Febbraio 1335, il periodo è proprio quello! Ma c’è anche un altro motivo per cui ti ho chiesto di venire.
Egle la guardò con aria interrogativa e Bianca riprese a spiegare.
– Spero di non sbagliarmi. Se l’arca è un riferimento al cognome, la lettera dei vostri genitori potrebbe trovarsi qui. Non nel quadro con i cerchi, ma in questo!
– Santo cielo, hai ragione.
Staccarono il quadro e lo portarono nuovamente in cucina, decise a procedere.
Bianca tolse la cornice e sollevò il vetro di protezione. Era abituata a maneggiare dipinti e si mosse con sicurezza sulla superficie della pittura. Girò la tela e passò le dita sul retro del tessuto.
– Ecco qua – mormorò.
Aprì il cassetto delle posate e prese un coltello, mentre Egle la guardava in silenzio.
Posizionò la lama su un angolo e infilò la punta in obliquo, sollevando il lembo di un rivestimento di carta. Lo afferrò con le dita e lo staccò dalla tela, lasciando il retro scoperto.
Davanti a loro, rincalzata sul bordo inferiore, comparve una busta ingiallita.
Egle la afferrò, con le mani che tremavano, e la osservò sui due lati.
– Sono le firme dei miei genitori – disse guardando le scritte. Poi fece un sospiro e si mise a sedere.
Bianca le sfiorò la spalla.
– Vado di là, così leggi con calma.
– No, stai qui.
Egle aprì la busta. Muoveva le mani lentamente, sopraffatta dalla paura di soffrire ancora. Se in quella lettera non fosse comparso anche il suo nome, se i suoi genitori l’avessero scritta solo per Franz, senza nemmeno menzionarla, per lei sarebbe stata la fine; sarebbe caduta sotto il peso di un epilogo già sofferto, oppressa dalla conferma di quell’ultimo, rovinoso abbandono.
Estrasse i fogli e li stese. Si sfilò gli stivali, appoggiò i piedi sul pavimento e cominciò a leggere dentro di sé. Dopo il primo rigo sentì sciogliere i muscoli e procedette fino alla fine.
Venezia, 6 aprile 1997
Carissimi ragazzi.
Se state leggendo questa lettera, significa che non siamo più con voi.
Abbiamo disposto che venga recapitata a Franz per primo, visto che è il fratello maggiore; sarà suo compito passarla ad Egle quando anche lei avrà raggiunto l’età giusta per leggerla, diciassette anni compiuti.
È molto difficile, per noi, immaginare il momento in cui la riceverete; non è possibile prevedere se e quando succederà. Abbiamo deciso di scrivere queste righe nell’eventualità che un avvenimento imprevisto ci allontani prematuramente, quando ancora siete piccoli per sapere.
È necessario informarvi di qualcosa che riguarda la nostra famiglia, un segreto passato di generazione in generazione che adesso arriva nelle vostre mani. Noi l’abbiamo ricevuto dal vostro nonno paterno e l’abbiamo conservato insieme. Vi chiediamo di custodirlo a vostra volta, come per secoli hanno fatto i vostri avi e come abbiamo fatto noi. L’antica tradizione avrebbe voluto che solo uno di voi due venisse a conoscenza della storia, aiutato da un compagno fedele; tuttavia noi abbiamo deciso di coinvolgervi entrambi, in modo che abbiate l’uno il sostegno dell’altro. Proprio questo è il primo insegnamento che desideriamo lasciarvi: rendete il segreto simile a voi; non lasciate che il silenzio vi schiacci, conservatelo con i mezzi che avete. Se è necessario cambiare un’usanza o modificare una tradizione, non escludete di farlo; anche noi l’abbiamo rivista per il vostro bene. Ogni dottrina esoterica, per non cadere nell’oblio, deve essere adattata ai tempi e alle persone che di volta in volta ne entrano in possesso. Solo così potrà essere perpetuata la tradizione, con la volontà di chi fa da testimone.
Ecco dunque di cosa si tratta.Voi siete gli eredi diretti di Francesco Petrarca, il grande poeta vissuto nel 1300. Le sue opere sono patrimonio poetico della nostra civiltà. Ma c’è qualcosa che non è noto, una chiave di lettura che Petrarca volle tenere nascosta e che pone le sue Rime sotto una luce nuova. Predispose che il significato del Canzoniere rimanesse occulto, comprensibile a pochi iniziati, e scelse la discendenza diretta come mezzo per tramandarlo nei secoli. Esistono dunque due livelli di comprensione: il primo è esplicito, concentrato sulla storia d’amore, il secondo, invece, è implicito e richiede un’analisi completamente diversa. Quello che stiamo per dirvi non è facile da comprendere, soprattutto in giovane età. Servirà del tempo perché riusciate a coglierne il significato, tuttavia è necessario che prendiate atto di queste informazioni, di cui siete gli unici testimoni viventi. Ebbene, le Rime di Petrarca, per chi sa interpretarle, si presentano come un’intelaiatura di operazioni matematiche volte a raccontare un’altra realtà. Il Poeta concepì il suo ciclo di poesie come un celato sistema di cerchi e formulò la sua esposizione avvalendosi di un concetto ombra, l’amore non corrisposto di Laura. Vi sono contenute delle informazioni che nel quattordicesimo secolo non erano note in occidente e che circolavano in modo clandestino perché associate a misteri metafisici. Sarebbe impossibile raccontare in questa lettera tutto quello che c’è da sapere e certamente non potreste comprenderne l’importanza sul momento; troverete ogni cosa nei volumi che saranno presto in vostro possesso.
Seguite queste brevi indicazioni.
Andate ad Aquileia, in via Giulia Augusta 23, e cercate la signora Ottavia.
Concentratevi sul cerchio, punto cardine della verità.
Fidatevi degli uomini che vi hanno consegnato la lettera. Li abbiamo incaricati per farvi da guida e da sostegno, potete rivolgervi a loro in caso di aiuto.
La conoscenza è una conquista che eleva lo spirito, vi si accede tramite un viaggio che conduce alla scoperta.
Che Dio vi assista, sempre.
Abbiate cura l’uno dell’altro; vi amiamo immensamente.
I vostri genitori, Lidia e Luigi Arcanti
Egle richiuse la lettera a adagiò le braccia sulle gambe.
– È rivolta anche a me – disse guardando nel vuoto.
Bianca accennò a un sorriso. Prima che potesse chiedere altro, Egle le passò il foglio:
– È troppo difficile da spiegare, leggi da sola.
Dopo cinque minuti, entrambe erano al corrente.
– Assurdo – commentò Bianca con esitazione.
– Non riesco a capire il senso di tutto questo. Se non l’avessero scritta i miei genitori, mi sembrerebbe uno scherzo folle. Perché Franz non l’ha condivisa con me? C’era scritto esplicitamente di farlo.
– È vero, è strano. Tra l’altro vi invitano a prendervi certe libertà, pur di rimanere sereni.
– Franz era tutto meno che sereno. Che cosa sarà successo nella sua mente per indurlo a isolarsi così?
La voce di Bianca divenne malinconica.
– Ho ripensato tante volte al suo comportamento. Era molto solo, staccato da quello che succedeva intorno, quasi disinteressato alla vita. Può darsi che fosse caduto in uno stato di depressione e io non me ne sono accorta. Non ho saputo cogliere i segnali del suo disagio, dargli l’aiuto di cui aveva bisogno.
– Anche io mi sento in colpa. Se solo fossi tornata prima, se fossi stata più presente, forse alla fine si sarebbe aperto e oggi non saremmo a questo punto.
– È stato un incidente, non ce ne scordiamo. Nessuno poteva prevederlo.
– Hai ragione. Ormai possiamo solo cercare di capire.
– Sei ancora intenzionata a conoscere il segreto? Adesso sei l’unica che possa entrarne in possesso.
– Sì. Voglio andare in fondo a questa storia.
Egle stette in silenzio per qualche secondo, poi proseguì:
– Sono l’erede diretta di Francesco Petrarca, ti rendi conto? La mia vita è stata sempre stravagante, a dir poco originale; così incostante da farmi abituare all’incertezza. Ma ora ha dell’incredibile! È tutto pazzesco, quasi surreale.
Poi prese in mano la lettera e la scorse di nuovo, cercando dei punti da cui cominciare a districare i contenuti. Dopo un po’ si fermò, incerta.
– Io la storia del cerchio non l’ho mica capita.
Lesse a voce alta le righe centrali, passando da un punto all’altro:
Il Poeta concepì il suo ciclo di poesie come un celato sistema di cerchi… Vi sono contenute delle informazioni che nel quattordicesimo secolo non erano note in occidente e che circolavano in modo clandestino… Concentratevi sul cerchio, punto cardine della verità.
Bianca ascoltava con attenzione e intanto annuiva.
– Ti ricordi la scritta sulla foto in tasca di tua madre? In circulo veritas… era anche nei documenti della bacheca, insieme alla data del 1335. Scarpelli, a Trieste, gli ha dato molta importanza, l’ha collegato al numero sette.
Egle continuò a percorrere il testo. I suoi occhi andavano avanti e indietro in cerca di un motivo per fermarsi, un perno su cui poggiare i piedi per saltare alla casella successiva.
– Hai visto l’indirizzo in fondo? Dice di andare ad Aquileia.
– L’ho notato anch’io. Si torna al punto di partenza.
– Sono passati così tanti anni da quando questa lettera è stata scritta, chissà se l’indicazione è ancora valida.
– Non abbiamo altra possibilità se non quella di provare.
– Vuoi andare adesso?
– Dici di no?
– Dico di sì. Prima però vorrei cambiarmi i vestiti, i miei sono sporchi di sangue.
– Vai in camera e prendi quello che vuoi. Se vuoi darti una sistemata, nell’armadietto del bagno trovi gli asciugamani e tutto quello che può servirti. Io intanto chiamo mia madre per sentire se posso prendere la macchina.
– Grazie, faccio in un attimo.
Dopo un paio d’ore, erano nuovamente sulla strada per Aquileia.
La prospettiva, dalla prima volta in cui avevano percorso quel tragitto, era completamente cambiata. Adesso avevano una destinazione, un insolito punto di arrivo che ricordava comunque l’idea della meta.
Giunte ad Aquileia, cercarono via Giulia Augusta e si precipitarono al numero 23.
Era una villetta monofamiliare con un piccolo giardino dinnanzi e un unico campanello in ferro battuto.
Suonarono e rimasero in attesa, finché sentirono dei passi avvicinarsi all’entrata.
Quando la porta si aprì, si trovarono davanti una giovane donna che teneva in braccio un bambino.
– Buon giorno – disse Egle – perdoni il disturbo. Cerchiamo la signora Ottavia.
– Ottavia non sta qui da qualche anno.
– Sa per caso dove possiamo trovarla?
– L’ultima volta che ho avuto notizie, era in una residenza per anziani. L’ Istituto Santa Marta, mi pare. Non so se sia ancora lì.
– Grazie infinite.
– Di niente, arrivederci.
Una volta tornate alla macchina, cercarono l’istituto su Google.
– Istituto Santa Marta – ripeté Bianca mentre digitava il nome. Poi lesse l’indirizzo a voce alta.
– Non ci posso credere, è in via Petrarca!
– Questa storia ha dell’inverosimile.
Avrebbero potuto chiamare la residenza per sapere se Ottavia fosse ancora in vita. Qualcosa, tuttavia, le convinse che era tempo di andare.
Quel nome era l’unico dato che avevano, l’unica speranza per trovare una strada e continuare il cammino. Si misero in macchina senza pensare che poteva essere una ricerca vana, col solo pensiero di orientarsi lungo la direzione indicata. La lettera aveva aperto uno squarcio nel buio di quella vicenda e aveva fatto passare uno spiraglio di luce. Erano determinate a seguire quel barlume, cercando in una casa di riposo quello che il tumulto degli avvenimenti non aveva raccontato. Chissà, forse erano state persuase dall’indirizzo; senza rendersene conto avevano deciso di seguire la cometa della storia, entrare nell’arca e addentrarsi nel mistero.