10. Le vie misteriose del sapere
Egle e Bianca si guardarono con trepidazione. Le tre cifre suggerite da Bianca per il codice di apertura erano risultate corrette e il serrame era scattato.
Il battente del cassetto era socchiuso davanti ai loro occhi, leggermente sporgente rispetto agli altri che risultavano, invece, perfettamente allineati.
– Vi lascio sole – disse il notaio – potete rimanere qui tutto il tempo che vi occorre. Quando avete finito, se desiderate riporre del materiale nel cassetto, dovete immettere un nuovo codice. Sarà sufficiente digitare sulla tastiera le solite quattro cifre più altre tre scelte da voi, in modo che la situazione torni esattamente come era prima. Un segnale sonoro vi indicherà che la cassaforte è nuovamente chiusa in massima sicurezza. Tutto chiaro?
– Sì, grazie – rispose Egle.
Londero si allontanò e prese le scale per salire; Bianca ed Egle attesero di sentirlo arrivare in cima ed entrare nello studio, fino al rumore della porta che veniva chiusa.
– Dai, apri – disse Bianca indicando il cassetto.
Egle fece un sospiro profondo e tirò lo sportello verso di sé.
Estrasse un fascicolo di documenti, tenuti insieme da un raccoglitore di cartoncino.
– Andiamo sul tavolo – suggerì Bianca.
Posero il pacco sulla fratina e sollevarono la copertina di cartone.
All’interno, pochi fogli tenuti insieme da una spillatura e sotto, staccata da questi, una pagina singola, più piccola delle altre.
Accesero la lampada e vi posero sotto la documentazione. Erano delle carte scritte a macchina, ingiallite dal tempo. La prima era una comunicazione breve, non firmata, con la data aggiunta a mano. Riportava l’anno 1989.
La procedura al Ministero degli Interni è andata a buon fine.
Il nuovo cognome è Arcanti.
– Che significa “il nuovo cognome è Arcuati?” – esclamò Egle.
– 1989 è l’anno di nascita di Franz – aggiunse Bianca, senza rispondere alla domanda.
– Oddio, mi sento male – riprese Egle – Vuol dire che i nostri genitori hanno cambiato cognome. Che razza di storia è questa?
– Guardiamo gli altri fogli, vediamo che cosa contengono.
Egle girò pagina, capovolgendo la prima dietro al punto della spillatrice.
Sulla seconda facciata, una comunicazione datata 1955:
La procedura al Ministero degli Interni è andata a buon fine.
Il nuovo cognome è Arcuati.
– Mi sento male anch’io – commentò Bianca – sembra che vostro padre sia passato da Arcuati ad Arcanti. E che anche vostro nonno abbia cambiato cognome, tramandando in successione quello modificato. Fa girare la testa.
Egle voltò frettolosamente la pagina e lesse il terzo foglio. Questa volta era scritto a mano, verosimilmente da una penna stilografica. Riportava l’anno 1920.
La stessa frase annunciava il passaggio al cognome Sarcati.
– Ecco perché non abbiamo parenti – disse Egle piano – siamo sempre stati soli, isolati, privi di qualsiasi contesto familiare. Io e Franz siamo cresciuti con la sensazione di vivere in un luogo non nostro, come se fossimo stati senza radici. Poi guardò Bianca, quasi a cercare un’estensione del proprio pensiero.
– Che cosa significa secondo te? – le chiese.
– Non ho la minima idea.
– Una cosa è certa, non si tratta di una questione recente. Quello che Franz sapeva, ha origini antiche.
– C’è anche un’altra cosa.
– Quale?
– Non credo che nel 1920 fosse possibile cambiare cognome. E queste non sembrano pratiche ufficiali. Non c’è una firma, un numero di protocollo…nulla di nulla. Chiunque si sia mosso per ottenere questo risultato, l’ha fatto nell’ombra.
– Hai ragione.
– Ma perché, mi domando, perché?
– Me lo domando anch’io.
Egle girò l’ultimo foglio: il plico era finito. Le rimase in mano la pagina singola, sulla quale posarono i loro occhi. Era il foglio di un blocco, del formato di un quaderno, decorato sul bordo superiore con una sottile riga beige.
Vi era sopra il disegno stilizzato di un pesce, realizzato a matita, ottenuto dall’intersezione di due archi di circonferenza. Sembrava il simbolo usato dai primi cristiani per riconoscere i luoghi di culto, quando si nascondevano dai Romani nel primo secolo dopo Cristo.
– Questo è recente – considerò Egle – il foglio non è ingiallito.
Bianca lo prese e lo guardò con attenzione, girando il pezzo di carta da una parte e dall’altra.
– Mi ricorda qualcosa – disse con incertezza.
– Forse l’hai visto a casa di Franz.
– Sarà così, anche se non mi pare.
– Chissà perché è qui, con gli altri documenti.
– Già, non sembra collegato.
Si misero sedute e restarono qualche minuto in silenzio. Guardavano i fogli, frugavano tra i pensieri in cerca di una spiegazione. Tutto appariva farraginoso, confuso, caotico: un ammasso di informazioni prive di un filo conduttore.
– Credo che si possa andare – riprese Bianca dopo un po’.
Si alzarono e riposero i fogli nel cassetto.
– Dobbiamo inventare una nuova terna per la combinazione. Quale scegliamo?
– Quante possibilità ha detto che ci sono il notaio?
– 1000.
– È un uno seguito da tre zero: che dici se mettiamo 1,3,0? Così in una mossa le abbiamo provate tutte!
Bianca capì la battuta e fece una smorfia.
– Sei proprio brava in matematica.
– Vero! A scuola avevo sempre due.
Si sbeffeggiavano, un po’ per sdrammatizzare e un po’ per sentirsi comprese, l’una affidata alla forza dell’altra.
– Sono fortunata ad averti incontrata – aggiunse Bianca con malinconia.
– Non mi hai incontrata, sei venuta a prendermi. Non so che cosa avrei fatto, se tu non fossi arrivata all’ospedale.
Si sorrisero con la stessa espressione. Un segno d’intesa, di fiducia e di protezione reciproca; il più vero degli accordi sancito da uno sguardo privo di certezze, pieno solo di condivisione.
Digitarono le sette cifre, poi sentirono il segnale sonoro e si avviarono verso le scale.
Ringraziarono il notaio e, dopo i saluti, uscirono dallo studio.
Da poco era iniziato il pomeriggio, l’aria di gennaio era fredda e il giorno si stava avviando all’imbrunire.
Percorsero il viale e arrivarono alla macchina.
– Prima di tornare a Venezia vorrei fare un’ultima cosa – disse Egle.
– Cosa?
– Mi piacerebbe vedere il mosaico della basilica di Santa Maria Assunta, trovare il pesce che i miei genitori ci mostrarono quando venimmo qui.
– Ok, andiamo.
Parcheggiarono in piazza Capitolo e si avviarono all’entrata.
Una volta varcato l’ingresso, si trovarono in un ambiente solenne suddiviso in tre navate. Davanti a loro si dispiegava un pavimento musivo di dimensioni eccezionali, così armonioso da sembrare un’illusione, improbabile come la bellezza senza tempo in un tempo senza dannazione.
Avanzarono timidamente guardando le decorazioni, quando videro avvicinarsi un individuo. Era un uomo in età avanzata, con i capelli grigi e gli occhiali color tartaruga.
Bianca ed Egle notarono il distintivo appuntato sulla giacca:
Associazione Amici di Aquileia
guida volontaria
– Posso aiutarvi nella visita?
Egle rispose con la sua solita cortesia:
– Grazie, è molto gentile. In realtà cerchiamo un particolare nel pavimento: la raffigurazione di un pesce.
– Di pesci qui ce ne sono in abbondanza! La quarta campata è interamente dedicata all’ambiente marino. Venite con me, vi accompagno.
La guida salì sul corridoio laterale, un passaggio sopraelevato trasparente dal quale era possibile ammirare il mosaico senza calpestarlo. Le due ragazze si dettero uno sguardo d’assenso e gli andarono dietro.
A metà percorso si fermarono per qualche informazione.
– Oggi noi attraversiamo la basilica camminando a fianco – fece notare l’uomo – ma un tempo vi si accedeva dalla zona centrale. Vedete, c’è un lastricato che divide la pavimentazione in due zone: la destra presenta decorazioni a prevalenza circolare, quella a sinistra invece è caratterizzata da poligoni a più lati.
– Secondo lei questa spartizione nasconde un significato? – chiese Bianca – Oppure è solo un motivo ornamentale?
– Beh, signorina…la domanda non è banale! Se vuole però posso darle la mia opinione. Io penso che tutto, nei luoghi dello spirito, abbia un significato. Sono posti intrisi di simboli, figure che rimandano a realtà più vaste e ben più complesse di quelle che riusciamo a vedere con gli occhi. Da sempre il cerchio indica il divino, il poligono invece, con i suoi spigoli e i suoi lati spezzati, richiama l’uomo. Se procediamo nel corridoio centrale, ci avviciniamo all’altare camminando in mezzo a queste due realtà.
– Ci sono altri simboli?
– Certamente. Guardate per esempio lì, dentro quell’ottagono – la guida indicò un punto preciso nel pavimento – quello è il nodo di Salomone, ne avete mai sentito parlare?
– No – dissero insieme Bianca ed Egle.
– O meglio – si corresse Bianca – io l’ho visto tante volte ma non saprei attribuirgli una connotazione.
– Ecco – riprese l’uomo – se ci fate caso, ricorre spesso in questo pavimento. In molti pensano che sia solo un motivo decorativo, uno schema ripetuto per riempire il mosaico con gusto. Io invece ho un’altra idea.
– Quale?
– Vedete…prima di tutto un nodo è sempre un legame, qualcosa che unisce in un rapporto di dualità. Richiama alla mente l’idea di due soggetti distinti ma vincolati, stretti l’uno con l’altro in una relazione di reciproca dipendenza. Divisione e contrasto, dunque, ma anche protezione e unità.
L’uomo fece una pausa. Aveva la voce affaticata e abbassò il tono, come a voler risparmiare le forze. Poi riprese lentamente.
– Il disegno in questione presenta un intreccio dato dall’incastro di quattro elementi identici. Se lo guardate con attenzione, potete notare una parte quadrata, all’interno, sui cui lati sono appoggiati quattro semicerchi.
Questo gomitolo di linee si ripete: ha in sé l’idea della ciclicità, di qualcosa di eterno. La forma ondulatoria, poi, richiama l’acqua, dunque la vita. E qui arriviamo al pesce che cercate.
L’uomo fece cenno di procedere lungo il corridoio e arrivò in fondo alla navata. Camminava con difficoltà ma sembrava intenzionato a proseguire, portando avanti il suo compito di volontario.
– Ecco qua – disse quando furono nella quarta campata – questo mare è tutto per voi.
Sul pavimento, davanti a loro, polpi, branzini e sardine erano legati in un intarsio di minuscole tessere.
– Guardavamo la sogliola! – esclamò Egle.
– Come? – chiese Bianca.
– Con i miei genitori guardavamo quella, lì sotto il polpo.
Stettero qualche secondo in silenzio a osservare quel punto del mosaico.
– Ricorda la forma di Venezia – notò Bianca.
– Non ha torto – confermò la guida – questa decorazione è del IV secolo dopo Cristo, Venezia è stata fondata subito dopo. Chissà che non ci sia un riferimento esplicito.
L’uomo batté un colpo di tosse e poi riprese a parlare, con la voce più roca.
– La struttura morfologica della città è quantomeno singolare: al mondo non esiste altro insediamento che abbia la forma di un pesce e sia posto in mezzo al mare. E l’acqua, da sempre, nutre e nasconde.
– Dice che potrebbe essere un simbolo anche questo?
– Non lo escluderei. Anzi, lo darei per probabile.
– Come quello usato dai primi cristiani – si fece scappare Bianca.
– Esattamente, il simbolo della vesica piscis. Chi non ha gli strumenti per capire, ci vede solo l’intersezione di due cerchi.
L’uomo riprese a tossire: era pallido e affaticato. Con la mano si reggeva il fianco lasciando intendere che aveva dolore.
– Credo che sia giunto per me il momento di terminare la visita – disse.
– È stato davvero prezioso, grazie.
– Arrivederci – si salutarono.
L’anziano si allontanò, ripercorse il corridoio di vetro e scomparve dietro il colonnato.
Egle e Bianca rimasero ancora un po’ a guardare, poi decisero di rimettersi in cammino.
Il sole stava tramontando, si fermarono in un bar a prendere un tè e ripartirono per Venezia.
Bianca guidava, Egle con la testa appoggiata sul finestrino pensava e si lasciava andare al riposo.
Ripercorse la giornata da capo. I fiumi, lo studio di Londero, i documenti sul cognome cambiato. Si sentì sola più che mai, privata anche delle radici.
Rivide la Basilica, il pesce, la guida che raccontava. Risentì la sua voce che parlava dei simboli, mentre spiegava il nodo di Salomone. Con gli occhi chiusi, ripercorse il volto dell’uomo e la sua andatura, il braccio sul fianco, la sua struttura fisica di spalle. Poi improvvisamente la tosse, e quel tono che diventava cupo. Già, quel tono…aveva qualcosa di già sentito, come un ricordo rimuginato.
– Frena, frena! – urlò all’improvviso.
– Che è successo? – chiese Bianca allarmata.
– La guida… oddio Bianca… la guida.
– La guida cosa?
– È lui l’uomo che parlava con Franz in salotto, quella volta che tornai all’improvviso.
Bianca si sentì raggelare.
– Sei sicura?
– Sicurissima.
– Dobbiamo tornare indietro, subito.
Deviarono alla prima uscita e rientrarono in autostrada in direzione opposta.
Un’ora dopo erano di nuovo ad Aquileia.
Corsero nella piazza della basilica, parcheggiarono ed entrarono senza perdere tempo.
Guardarono tra gli ultimi turisti della giornata, ma l’uomo non c’era più.
– Chiediamo a qualcuno, forse ci danno i suoi riferimenti.
Si diressero frettolosamente verso l’entrata, dove avevano avvistato il custode.
Raccontarono concitate che erano arrivate lì poche ore prima e che erano state accompagnate nella visita da una guida volontaria, un uomo anziano dell’associazione Amici di Aquileia o qualcosa di simile, che si erano scordate di lasciargli una mancia e per questo motivo lo cercavano adesso.
Il custode le guardò con espressione di incredulità per tutto il tempo del loro racconto. Poi rispose alle loro domande.
Disse che in basilica non c’era mai stato alcun servizio di volontariato, che non aveva mai sentito nominare gli amici di Aquileia e che non risultava alcuna guida messa a disposizione dei turisti. Si dichiarò amareggiato del fatto che qualcuno si fosse indebitamente appropriato del ruolo di accompagnatore e sperava che non ci fossero state richieste di denaro.
L’uomo di cui parlavano, chiunque fosse, era del tutto sconosciuto.