13. Nina
Bianca ed Egle aspettarono qualche giorno prima di incontrare Nina.
La ragazza era via per lavoro e anche Egle dovette partire per Kingston, secondo i turni della compagnia di volo.
Bianca approfittò di quella pausa forzata per mettere in ordine le idee e, come al solito, lo fece attraverso gli attrezzi della bottega.
Sistemò i cassetti dei ceselli, raggruppò i solventi, spolverò i ripiani e suddivise i tubetti dei colori cercando nella disposizione degli oggetti un criterio generale per controllare la situazione e ristabilire, attraverso le cose, un assetto interiore.
Da quando Egle era comparsa nella sua vita, il suo stato d’animo era cambiato. Franz era ancora al centro dei suoi pensieri ma la solitudine era diventata meno invadente; il suo disagio aveva trovato uno specchio in cui riflettersi e il suo dolore, adesso condiviso, vedeva lo spiraglio della consolazione.
Alvise la osservava mentre, con coraggio, riprendeva a curarsi della vita; la guardava mescolare i colori e coglierne i riflessi alla luce, la seguiva con gli occhi mentre assaporava le sfumature di ogni tinta come faceva un tempo, prima che quella storia iniziasse.
Quando Egle tornò, una settimana dopo, Bianca era pronta a riprendere la ricerca.
Aspettarono il rientro di Nina e fissarono per incontrarsi nell’appartamento dove le due ragazze vivevano come coinquiline.
Scelsero un venerdì pomeriggio, lasciando aperta la possibilità di mangiare qualcosa insieme nel caso in cui avessero fatto tardi. Nina non conosceva Bianca e non sapeva nulla degli ultimi avvenimenti; c’era bisogno di spiegarle, con calma, che qualcuno le stava pedinando e che la vicenda riguardava Franz, il fratello di Egle venuto a mancare pochi mesi prima, anche se la natura di questo coinvolgimento era tutt’altro che chiara. Le avrebbero chiesto aiuto per attuare un piano con lo scopo di incastrare il tipo che le stava spiando, in modo da costringerlo a parlare. Nina avrebbe dovuto indossare i vestiti di Egle, avvantaggiata dalla loro naturale somiglianza, e uscire in pubblico con Bianca, lasciando così Egle libera di raggiungere l’uomo alle spalle.
– È una situazione decisamente complicata – esclamò Bianca al telefono mentre camminava verso l’appartamento – sei sicura che Nina possa comprendere quello che vogliamo fare?
– Lo spero – rispose Egle.
Venti minuti dopo, Bianca suonò il campanello.
Salì le scale e si trovò di fronte una ragazza alta e magra, i cui toni pallidi facevano da trampolino alle righe verdi di un pigiama ampio e vagamente trasandato.
– Piacere, Nina – disse la ragazza.
– Ciao, io sono Bianca.
– Perdona il mio look casalingo, quando non lavoro ho bisogno di stare comoda.
– Ci mancherebbe, è casa tua e puoi stare come vuoi.
Bianca si chiese a quale lavoro Nina si riferisse, ma preferì sorvolare su quel pensiero e procedere oltre.
Egle sbucò, scalza, dal fondo del corridoio e insieme si avviarono verso il soggiorno.
Bianca prese posto su una poltrona color ocra, Egle si mise sul tappeto e Nina sprofondò sul divano, lasciando che il colore verde della tappezzeria inglobasse le righe del suo pigiama fino quasi a renderla un complemento d’arredo.
– Dunque Nina – iniziò Egle – ti abbiamo chiesto questo incontro perché abbiamo bisogno del tuo aiuto.
– Devo andare a letto con qualcuno? – chiese candidamente lei.
– Assolutamente no! – esclamò Bianca, colpita da tanta schiettezza.
Nina fece un sorriso, poi di colpo cambiò espressione.
– Non so se sono capace – disse prima di sapere.
– Ma non ti abbiamo ancora spiegato nulla!
– Se c’è da pensare, sbaglierò di certo.
Nina disse quelle parole con grande naturalezza, palesando una condizione che lei dava per certa. Fu come liberare l’acqua da una sorgente, portando alla luce un flusso che scorreva da qualche parte dentro la roccia, vero anche prima di traboccare all’aria.
Il motivo per cui Nina si sentiva inadeguata era legato alla percezione della sua intelligenza, che lei riteneva oggettivamente insufficiente.
Da sempre era convinta di essere inadatta alla conoscenza e sfavorevole al ragionamento come se il pensiero, nella sua testa, non trovasse le strade per procedere e ogni volta rimanesse bloccato: un corto circuito cerebrale che arrestava il transito delle informazioni e produceva in lei un senso di inabilità perenne, impossibile da arginare.
Aveva l’impressione che la sua mente fosse costellata di buchi, voragini diffuse che inglobavano la logica dei discorsi e lasciavano le argomentazioni nude, senza l’appoggio delle cause e sfornite dei ganci sulle conclusioni.
Questa idea la accompagnava fin dalla prima infanzia ed era maturata con le prime esperienze a scuola. Da subito aveva faticato a imparare le lettere dell’alfabeto e a leggere le prime frasi; i simboli grafici si erano presentati come dei sassolini che vagavano sul foglio, capaci di colpirle gli occhi all’improvviso. A casa nessuno era in grado di aiutarla e quel disturbo fu chiamato presto svogliatezza, lasciando poco margine alla possibilità di un miglioramento.
Crescendo aveva imparato a sopportare il senso della frustrazione come se fosse un peso obbligato, inevitabile e necessario come quello delle ossa.
Dalla sua parte, ad arginare il disagio di un pensiero perennemente interrotto, aveva i vantaggi di una fisicità tutt’altro che dimessa. Era dotata di una bellezza indiscreta e intrigante che le permetteva di risolvere, o meglio, di farsi risolvere, quasi tutti i problemi della quotidianità senza bisogno di esplicitare la minima richiesta.
Nina era fine e suadente, si muoveva con eleganza e parlava con voce carezzevole, caratteristiche che irretivano l’interlocutore fino a portarlo in un gioco di seduzione capace di imbrigliarlo, avvolgerlo e inglobarlo come fili di una ragnatela.
Dopo la scuola, terminata a fatica, trovò presto lavoro come hostess di volo e prese a considerare il viaggio come un modello del suo funzionamento cerebrale: molte ore per passare tra una città e l’altra con l’unico scopo di tornare indietro.
Con l’indipendenza economica aumentarono anche le uscite serali e Nina prese a frequentare Margot, una collega smaliziata che nel tempo libero gestiva un sito di incontri per manager e personalità di alto livello.
Impressionata dall’eleganza del suo portamento e dai suoi tratti accattivanti, Margot chiese a Nina di fare l’accompagnatrice a una serata di gala organizzata dalla Marchesa Mazzei, in uno dei palazzi storici della città. Le spiegò che avrebbe dovuto essere una dama gentile al fianco di un uomo elegante, che la serata sarebbe potuta finire dopo la festa ma che talvolta, in occasioni come quella, la compagnia diventava più intima, a discrezione sua e dell’accompagnato. Nina si chiese quale tipologia di dirigente avrebbe potuto trovarsi davanti. Le vennero in mente quelli che assisteva in prima classe durante i turni di volo: alcuni con i computer aperti, altri che leggevano il giornale e altri ancora, più rari, che scarabocchiavano appunti e formule su blocchi di fortuna. Su questi ultimi spesso si fermava e rimaneva a guardarli in disparte, chiedendosi che cosa avessero nella testa. Ci pensò qualche minuto e alla fine accettò, ponendo come unica condizione che lo sconosciuto da affiancare fosse uno scienziato.
Alla domanda su perché proprio uno scienziato, Nina rispose che voleva vedere la sua espressione mentre pensava, senza che il suo ragionamento si interrompesse.
Margot non fu sicura di aver compreso la risposta ed ebbe dei dubbi sul fatto che l’uomo, con Nina, si sarebbe messo a riflettere, ma tenne quelle considerazioni per sé e tra tutti i signori da accompagnare alla serata, scelse per lei l’unico rappresentante della scienza.
L’individuo in questione era Brando Angelini, noto per le sue recenti scoperte sulle onde gravitazionali. Aveva ottenuto premi e riconoscimenti internazionali e in quei giorni si trovava a Venezia per un seminario all’Università. Dopo qualche partecipazione televisiva, l’uomo era diventato celebre e conteso tra le feste mondane dei salotti nobiliari più prestigiosi. Schivo per natura e per professione, Angelini concedeva poco la sua presenza, tuttavia quella volta accettò l’invito perché doveva conoscere il partner economico che avrebbe finanziato la sua ricerca.
In un batter d’occhio, assistito dalla marchesa, si vide recapitare l’invito, lo smoking e il biglietto da visita di una giovane accompagnatrice.
Quando vide Nina, pensò che l’universo avesse una grazia manifesta e che la terra, nella sua piccolezza cosmica, sapesse riservare sorprese universali.
Durante la festa, Nina e Brando si annoiarono e decisero di andare in giardino.
Lì, sotto il cielo stellato, lei liberò la domanda che da sempre teneva chiusa dentro al petto.
– Che cosa provi mentre pensi?
– Mah – rispose lui – dipende da quello che penso.
– Quando studi, intendo. E il tuo pensiero viaggia ininterrotto.
– Che domanda bizzarra – Brando fece una pausa per focalizzare la risposta e poi prese a parlare.
– Dunque, se sono immerso nei miei studi, io vedo tanti blocchi e tanti strati.
– blocchi e strati? – Nina si accese – racconta!
– I blocchi sono le cose di cui devo tener conto, e ciascuno si sviluppa in profondità. Immagina tanti pianeti che devono essere collegati insieme da un filo invisibile: il mio lavoro è cercare il filo. Non si vede con gli occhi, ma se ne possono scorgere gli effetti con i mezzi della scienza e con tanta matematica.
– Come fai a capire quando sei sulla strada giusta?
– È difficile da spiegare, si tratta di una sensazione. Quando si ricerca qualcosa, si fanno un sacco di tentativi e la maggior parte di questi è improduttiva. A un certo punto, i dati si armonizzano. Quello che si trova risulta coerente con quello che già sapevamo e le domande cominciano a ridursi. All’inizio ci sono tante risposte da trovare, alla fine ne rimane solo una e da quella dipende tutta la teoria. Il pensiero ruota intorno alla domanda, la guarda da ogni lato. E intanto monta la certezza di essere sulla strada giusta, di trovarsi vicino alla meta.
– Vicino alla meta – ripeté lei per fissarlo in memoria.
Nina e Brando parlavano e intanto camminavano. Uscirono dal cancello della villa e presero a passeggiare per il centro, scordandosi di avvisare che avevano lasciato la festa.
La luna era alta e piena, le strade deserte.
Arrivarono sotto l’albergo di Brando e lui la guardò.
– Sei bella come una stella – le disse piano.
Lei arrossì, cogliendo nella dolcezza di quelle parole un segno di sincerità.
Salirono insieme, mentre lui la teneva per mano.
Quando entrarono nella stanza, lei si lasciò spogliare.
L’espressione di lui, in quel momento, fu qualcosa che Nina portò con sé per il resto della vita. Era come se l’intelligenza si fosse trasformata in istinto, dando fuoco allo sguardo. Lo vide diventare tigre, poi falco e poi lupo, mentre la fissava con fermezza. Si sentì sciogliere in un’onda e divenne un filo da trovare. Gli accarezzò il viso ed entrò nei suoi pensieri; in un attimo vide tutti i numeri che non aveva mai visto e diventò numero a sua volta, determinante come l’equazione che descrive ogni realtà partendo dalla legge di natura. Si mescolò a lui e si sentì parte dell’Universo, la terra e i simboli amalgamati insieme.
La mattina dopo lasciò l’albergo, con la sensazione di essere stata nello spazio.
Brando e Nina continuarono a frequentarsi per tutta la vita, tra un viaggio e l’altro e tra un premio e l’altro. Si cercavano di tanto in tanto, quando il mondo si scordava la dolcezza, e diventavano un unico suono.
Brando non fu mai geloso del fatto che Nina fosse un’accompagnatrice e dimostrò di avere la mente aperta in modo cosmico: da tempo aveva imparato che le stelle si possono amare, ma nessuno le può spostare.
Lei vacillò molte altre volte per la testa che non riusciva a comandare, tra un buco e l’altro trovò il modo di aspettare. Seguiva il filo invisibile, l’aggancio tra i pensieri, un porto a cui approdare.
Così, quella volta in cui Bianca ed Egle le chiesero aiuto, rispose d’istinto e poi seguì l’intento di indugiare.
Alla fine, tra dubbi e insicurezze, decise di accettare.